Da Rifondazione a Sel, passando per le micro formazioni, chi lascia un partito per fondarne un altro deve ricominciare da zero, senza soldi né circoli. Viaggio tra i protagonisti di sofferte scissioni, tra piccole vittorie e clamorosi fallimenti.

Qualcuno la paragona a una traversata del deserto senz’acqua, altri ricordano con sgomento la scomparsa dai media. Tutti comunque rievocano la grande fatica di iniziare da zero dopo una scissione. Perché quando esci da un partito, te ne vai a mani vuote: soldi e immobili restano a chi rimane, anche se gli scissionisti sono poco meno della metà.

Così l’Idv, che nel 1999 si era unita a Rutelli e Prodi sotto il simbolo dell’Asinello mettendo a disposizione la sede di via Del Corso, quando decise di correre da sola perse tutto, uffici e mobili compresi. Uscendo dal Pci post Bolognina, Rifondazione riuscì a “strappare” le sezioni dove i compagni contrari alla svolta avevano la netta maggioranza, ma perse la battaglia per il simbolo: il logo con la falce e martello rimase al Pds, anche se il partito di Occhetto si preparava a mandarlo in soffitta. Per il resto, la sorte di chi lascia una formazione per fondarne un’altra è uguale per tutti: si parte senza un centesimo.

IL PD E LA SCISSIONE POTENZIALE

«Premesso che l’argomento è teorico perché non sto organizzando alcuna scissione», mette le mani avanti Pippo Civati, «Grillo ha dimostrato che si possono fare campagne molto leggere. Certo, ci vuole un messaggio politico: il costo per avviare un partito dipende dalla carica politica e culturale che ci metti. La motivazione è la benzina più importante. Più il messaggio è forte, meno ti costa».

Per l’ex sfidante di Renzi, in un contesto di risorse sempre più scarse è urgente rivitalizzare la vita di partito, «anche perché un soggetto politico che vive solo del suo leader l’abbiamo già conosciuto…». Civati bolla come «demagogica» la drastica abolizione del finanziamento pubblico votata in gran fretta dal governo Letta, sotto la pressione dei grillini e del nuovo segretario Renzi: «Io chiedevo un forte ridimensionamento delle cifre, una rendicontazione più stretta e un miglior impiego del 2 per mille».

La cancellazione è stata «un azzardo che stiamo pagando tutti. Queste cose, tra l’altro, si fanno solo se c’è una normativa devastante, all’americana, sul conflitto di interessi. Se raccogli troppi soldi dalla stessa persona, la tua politica è meno libera». Da qui il suo giudizio sulle cene di Renzi: «Capisco che la sinistra debba uscire dalle storiche roccaforti, però così rischia di non trovare più la strada di casa.

Invece di 800 invitati a mille euro, avrei preferito cene da 50 euro accessibili a tutti, organizzate dalle federazioni: il risultato sarebbe stato lo stesso, magari si faceva più fatica ma si aggiungeva un contenuto politico alla raccolta fondi. Credo nella partecipazione da cui dipende la contribuzione, non in una contribuzione che nega la partecipazione: è una strada pericolosa». La scissione dal Pd per Civati rimane un’opzione «se Renzi continua ad andare da un’altra parte». Anche se il “dissidente” brianzolo sa bene che i soldi resterebbero al partito e alle sue fondazioni.

l’articolo integrale su left in edicola da sabato 15 novembre