La violenza sulle donne è un macigno che non si nasconde col perbenismo politico nelle giornate di rito. Lo Stato deve farsene carico, oltre la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.

«Ho paura, ma almeno devo provarci, per me e i miei bambini che non possono diventare come lui o un giorno sostituirsi a me. Non ne posso più di soffocare le lacrime per evitare che le botte si sostituiscano alle minacce. Cosa ho da perdere che non abbia già perso? Voglio provare, mi aiuti?». Anna aveva 25 anni, aveva seguito l’uomo che amava, abbandonando la famiglia che, contraria, aveva visto oltre. Erano nati due bambini. Lui aveva smesso di picchiarla solo durante le gravidanze.

Anna mi scrisse una lunga lettera. La conoscevo bene, giocavamo insieme da bambine. Denunciò il marito il giorno in cui lui iniziò a spegnere le sigarette su di lei ordinandole di non lamentarsi altrimenti sarebbe passato ai bambini. Anna è morta uccisa a colpi di pistola davanti ai suoi figli. Lui è di nuovo libero, dopo aver scontato 18 anni di carcere, grazie alle attenuanti. I suoi figli, insieme ai nonni, hanno preferito andare all’estero per non incontrarlo più.

Sono passati 26 anni dalla morte di Anna, nulla è cambiato. Quanti tipi di violenza nei confronti delle donne esistono? Troppi. Ho scelto di impegnarmi affinché fossero cancellati più soprusi possibili ma ho capito che la battaglia non sarà mai vinta finché anche i legislatori ne consentono e ne favoriscono la sopravvivenza. Con la nascita della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, prevista per domani, 25 novembre, e voluta dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1999, sono stati invitati i governi, le organizzazioni internazionali e non governative a organizzare attività per sensibilizzare l’opinione pubblica su questo tema così trascurato.

L’art. 1 della Risoluzione 54/134 International Day for the Elimination of violence against women prevede che qualsiasi atto di violenza di genere che provoca, o potrebbe provocare, danni fisici, sessuali o psicologici alle donne, incluse le minacce, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, in pubblico e nella vita privata, sono “violenza contro le donne”. L’Assemblea dell’Onu usa termini che pesano come macigni sulle spalle delle donne: «Danno psicologico», «sofferenza», «privazione della libertà». Tutti purtroppo oggi frequenti.

Possibili anche a causa dei proibizionismi contenuti nella legge 40 del 2004 sulla procreazione medicalmente assistita, contro la quale mi sono più volte battuta. Sono violenza verso le donne, infatti, le norme coercitive di questa legge, molte fortunatamente cancellate da 32 decisioni dei tribunali. Divieti che hanno costretto 10mila coppie all’anno, per 10 anni, a dover affrontare il desiderio di diventare genitori tra mille ostacoli. O a rinunciarci.

La legge ha permesso, con l’uso proibizionista del diritto, la lesione della sfera privata di tante donne, costrette ad intraprendere percorsi procreativi non grazie ai migliori consigli dei medici ma con i peggiori limiti ideologici del legislatore. Il Parlamento si è arrogato il potere di sindacare sulla legittimità o meno delle scelte procreative di uomini e donne, in piena violazione del diritto al rispetto della vita familiare e privata. Ha gettato in grave angoscia, fisica e mentale, migliaia di coppie che si sono recate in Paesi stranieri per effettuare tecniche di procreazione vietate in Italia.

E’ violenza di Stato anche quella che permette di abbandonare le coppie portatrici di malattie genetiche trasmissibili al loro destino: piuttosto viene concesso loro di concepire un figlio gravemente malato e destinato a non sopravvivere. Meglio abortire, per lo Stato, invece che farlo nascere sano grazie alle indagini cliniche diagnostiche. È violenza di Stato, ancora, quella che nega alle donne il diritto di ricorrere all’interruzione volontaria della gravidanza. Le offende a causa del fenomeno pandemico dell’obiezione di coscienza. Lo Stato abbandona le donne e le costringe ad abortire in un bagno di ospedale, circondate da medici obiettori, come è accaduto a Valentina e a tante altre.

Il diritto a ricevere assistenza non può e non deve essere annientato dall’incidenza paralizzante degli obiettori di coscienza tra ginecologi, ostetriche e infermieri. Abbiamo raggiunto una media nazionale del 70% e il diritto all’obiezione di coscienza si è trasformato in “imposizione di coscienza”. Lo Stato, laico e liberale, il Servizio sanitario nazionale e le Regioni devono invece garantire entrambi i diritti: all’obiezione di coscienza e all’aborto. è, di nuovo, violenza contro le donne quella che le marchia come assassine quando chiedono la prescrizione della ricetta per la pillola del giorno dopo.

Ci si meraviglia per le parole del papa, meravigliamoci piuttosto dell’assenza dello Stato che maltratta le donne e le mette in pericolo di vita. Dov’è il capo del governo, Matteo Renzi, quando occorre cancellare gli ultimi divieti della legge 40? Dov’è lo Stato quando occorre togliere i lucchetti alla ricerca scientifica sugli embrioni? Dov’è quando una donna deve peregrinare di ospedale in ospedale prima di trovarne uno disposto a praticarle un’interruzione di gravidanza in sicurezza? La violenza sulle donne è un macigno che non si nasconde col perbenismo politico nelle giornate di rito. Lo Stato deve farsene carico.

*Filomena Gallo è avvocato e segretario dell’Ass. Coscioni