La società civile in Italia e in Europa, con un appello che ha già raccolto molte firme, chiede che si prendano azioni urgenti di monitoraggio della sicurezza e incolumità dei cittadini siriani ora presenti in Grecia, che venga loro garantito il trasferimento legale in altri Paesi dell’Unione europea per ricongiungimenti familiari o per richiedere la protezione internazionale. Una risposta di civiltà contro le politiche di morte praticate dalla Ue e dai governi dei Paesi europei che impediscono l’ingresso e il transito anche a chi scappa dalla guerra come i siriani.

Un numero crescente di profughi siriani, dopo la chiusura della rotta libica, tenta di raggiungere il nord Europa attraversando la Grecia. Molti di loro vengono respinti da Atene già al confine con la Turchia, sul fiume Evros, con procedure sommarie che non rispettano il Regolamento Frontex e il Codice delle frontiere Schengen. Altri, con piccole barche, attraversano le acque dell’Egeo e dalla costa turca, da Izmir soprattutto, puntando verso le isole greche più vicine come Symi, Lesvos, Mitilene, per poi raggiungere Atene e Patrasso. Nella capitale molti tentano di ottenere un visto di ingresso (magari falso) per uno Stato della Ue che garantisca uno standard dignitoso di accoglienza, mentre i più poveri tentano il passaggio a piedi verso l’Albania, o la traversata in traghetto per Ancona o Venezia.

All’arrivo in Italia, come si è verificato il 6 dicembre ad Ancona, anche i profughi più vulnerabili, come i minori o le donne, possono essere respinti in poche ore. La procedura è «l’affido al comandante della nave», di solito sullo stesso traghetto con cui sono arrivati che li riporta indietro, sulla base di un accordo bilaterale tra Italia e Grecia del 1999. Un accordo che viola i principi di non respingimento e i divieti di espulsioni collettive affermati dalla Convenzione europea per i diritti dell’Uomo e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. La recente condanna dell’Italia e della Grecia sul caso Sharifi e altri (profughi respinti nel 2008) non ha ancora modificato le prassi delle autorità di polizia, né prodotto una revisione sostanziale degli accordi tra Italia e Grecia.

Due profughi siriani che nei giorni scorsi avevano protestato in piazza Sintagma ad Atene per rivendicare livelli dignitosi di accoglienza e la possibilità di chiedere asilo in un altro Paese europeo, hanno perso la vita “per abbandono”. Ayman Ghazal, 50 anni, di Aleppo, dopo avere protestato davanti al Parlamento sarebbe morto nel tentativo di attraversare la frontiera greco-albanese per ipotermia, dopo aver attraversato un corso d’acqua gelida. L’altro profugo, dopo sei giorni di sciopero della fame, è stato trasportato direttamente da piazza Sintagma in un ospedale di Atene, nel quale sarebbe morto «per un attacco cardiaco» o, secondo altre fonti, per edema polmonare. Come al solito, dietro l’attacco cardiaco si possono nascondere le vere cause dei decessi. In questo periodo le condizioni atmosferiche in Grecia, e in particolare al confine con l’Albania, sono già durissime e mettono a dura prova la resistenza dei profughi che tentano il passaggio. Un pericolo che sono costretti ad affrontare a causa delle mancate risposte dell’Unione europea agli appelli che chiedono l’apertura di canali umanitari per i profughi siriani e la sospensione immediata del Regolamento di Dublino III, che inchioda i richiedenti asilo nel primo Paese di ingresso in Europa.

La Ue non può limitarsi a sospendere i rinvii verso la Grecia – imposti dal Regolamento di Dublino – e poi non aprire canali legali di ingresso dalla Grecia verso altri Paesi Ue . L’arrivo di un numero sempre più consistente di profughi siriani in Europa ha ormai tutte le caratteristiche di un “afflusso massiccio di sfollati”. Per questo l’Unione europea deve attivare gli strumenti e i canali della protezione temporanea previsti dalla Direttiva 2001/55/Ce, per decongestionare il sistema dell’asilo e consentire una mobilità secondaria nei diversi Paesi Ue senza sottostare ai ricatti dei trafficanti di terra. Una volta dotati di un documento provvisorio di soggiorno legale, e dunque della libertà di circolazione, i profughi dovrebbero avere riconosciuto il diritto di chiedere asilo dove hanno già legami familiari o sociali e in Paesi che abbiano sistemi di accoglienza rispettosi della dignità umana e del diritto al ricongiungimento familiare.

La società civile in Italia e in Europa, con un appello che ha già raccolto molte firme, chiede che si prendano azioni urgenti di monitoraggio della sicurezza e incolumità dei cittadini siriani ora presenti in Grecia, che venga loro garantito il trasferimento legale in altri Paesi dell’Unione europea per ricongiungimenti familiari o per richiedere la protezione internazionale. Una risposta di civiltà contro le politiche di morte praticate dalla Ue e dai governi dei Paesi europei che impediscono l’ingresso e il transito anche a chi scappa dalla guerra come i siriani. Adesso dei profughi in sciopero della fame in piazza Sintagma dovrà occuparsene la Corte europea dei diritti dell’Uomo. Infatti gli avvocati greci sono riusciti a fare arrivare a Strasburgo un ricorso in via d’urgenza per ottenere la cessazione di quel trattamento inumano e degradante che la Grecia riserva ai profughi a causa del default del sistema di accoglienza e del blocco imposto dal Regolamento Dublino III. Ma occorrerà andare oltre i casi individuali, sui quali si pronuncerà presto la Corte, e ottenere l’apertura di canali legali umanitari sia per raggiungere gli Stati dell’area Schengen sia per muoversi al loro interno, in attesa che si dotino di sistemi di accoglienza dignitosi e fruibili a tutti coloro che ne hanno bisogno.