La Germania assiste all’ascesa dei neonazisti di Pegida. «L’anti islamismo permette di esprimere apertamente la xenofobia», denuncia l’intellettuale Tomasz Konicz

L’effetto attentato di Charlie Hebdo a Parigi non si è fatto aspettare. Alla settimanale marcia di lunedì 12 gennaio scorso, i simpatizzanti di Pegida – losco acronimo per “Patrioti europei contro l’islamizzazione dell’Occidente” – avevano già raddoppiato passando da 10mila a 25mila persone.

Da ottobre scorso questo nuovo movimento di estrema destra, nato nella storica martoriata città di Dresda, è cresciuto in modo esponenziale. Le marce mobilitano la galassia di fascisti e neonazisti, ma grazie a internet e social media, attraggono soprattutto centinaia di “tedeschi ordinari”.

Gli slogan? Sbarrare la strada all’islamizzazione della società tedesca e al multiculturalismo, che diluirebbe la cultura cristiana tedesca. Nei cortei, croci teutoniche e tutti i simboli del nazionalismo. L’amalgama: l’annoso tema dell’immigrazione. In un Paese che è diventato primo destinatario di rifugiati nell’Ue, il movimento chiede la fine del diritto di asilo e le deportazioni dei migranti. Al raduno della galassia neonazista, fascista e hooligans, tra eccessi di odio e tensione, alla fine delle parate sono avvenuti vari episodi di aggressioni a sfondo razziale.

Proprio la notte di lunedì 12 gennaio, giorno della “Montagsdemo”, un rifugiato politico eritreo Khaled è stato assassinato. E da mesi si moltiplicano gli attacchi agli stranieri e ai centri di accoglienza: insulti, calci, intimidazioni, in un clima di vera e propria caccia all’uomo. Sono tanti i rifugiati che temono per la propria pelle e dichiarano di voler lasciare la città. Se per il momento il centro delle marce è la Sassonia, tradizionalmente di estrema destra, Pegida sta già diventando un movimento regionale e potrebbe rapidamente estendersi alla Rühr, colpita dalla deindustrializzazione e dove da anni è radicato un imponente movimento neonazi.

Pegida gode anche di simpatie nel resto del Paese, come rivelano recenti sondaggi: circa il 60 per cento dei tedeschi pensa che il go- verno non abbia fatto abbastanza per prevenire l’immigrazione, e un terzo è convinta che sia in corso una tendenza all’islamizzazione della Germania. In meno di 3 mesi, nel cuore della Germania, Pegida è diventato un mo- vimento di massa. Come?

Lo abbiamo chiesto a Tomasz Konicz, autore di Krisenideologie e di vari articoli, tra cui un’Antologia che uscirà a breve per Stampa alternativa. Konicz è un attento osservatore del fenomeno della crisi nel suo Paese.

Tomasz Konicz, il rigetto dell’Islam è davvero il substrato ideologico del movimento Pegida o esso manifesta una più generale xenofobia anti migranti?

L’anti islamismo sembra il semplice detonatore di questo movimento marcatamente razzista. Permette a questi cittadini di esprimere apertamente per strada la loro xenofobia. Nel loro manifesto non si trovano appelli alla lotta contro l’estremismo islamista o lo Stato Islamico, ma chiamate a una mano forte nei confronti dei migranti e a deportazioni verso i loro Paesi di origine. La retorica islamofoba, però, ha guadagnato un nuovo consenso dopo gli attentati di Parigi e l’intero movimento ha fatto un balzo in avanti. D’altronde, esiste una strana correlazione tra estremisti islamisti e estremisti di destra, entrambi traggono vantaggio dall’escalation della violenza rispettiva, spingendo per “una guerra tra culture”, per conquistare l’egemonia culturale.

In meno di 3 mesi le marce sono cresciute vertiginosamente, conquistando migliaia di tedeschi a ogni raduno. Ci sono le condizioni per uno “tsunami” nazionale?

È difficile fare previsioni, il movimento potrebbe consolidarsi e diventare un tassello del panorama politico tedesco, se si consolida l’alleanza con il nuovo partito Alternative für Deutschland (Afd). Potrebbe anche estendersi ad altre nazioni se nuovi attentati di matrice islamista dovessero accadere. Decisamente preoccupante è il tentativo delle élite tedesche di inglobare Pegida, senza chiaramente condannarlo. In particolare, tra le fila del partito conservatore di Angela Merkel, la Cdu, alcune voci esprimono comprensione per questo movimento. E i media mainstream sono divisi tra rigetto e approvazione. Anche se Pegida dovesse rifluire, il potenziale razzista rimane intatto: si profila un’influenza crescente dell’estrema destra e della sua ideologia in Europa.

Pegida è nato a Dresda, la città tedesca rasa al suolo durante la Seconda guerra mondiale, poi socialista… una strana continuità storica dal nazismo allo stalinismo. Quali sono le ragioni più profonde e nascoste di questo movimento tedesco?

Se si vuole afferrare le ragioni più pro- fonde di Pegida, bisogna in primis af- frontare le crisi sistemiche del capitalismo e della crisi europea. Aggravata in Germania dalle brutali riforme sociali e dai tagli (Agenda 2010), dal degrado delle condizioni di lavoro e degli stipendi nel Paese più ricco d’Europa. Ciò ha prodotto una “brutalizzazione” della società tedesca, sentita specialmente dalla classe media: esclusione di intere fasce della popolazione, competizione sul mercato del lavoro e paura di perdere il proprio status (quasi tutti i simpatizzanti di Pegida si lamentano di bassi salari e pensioni). Su questo terreno fertile, le ideologie razziste dell’esclusione hanno trovato crescente popolarità. Non dimentichiamo il brodo culturale degli ultimi anni: il dibattito intorno al best seller di Thilo Sarazzin sugli immigrati musulmani, di cui una parte delle élite tedesche ha sposato le tesi darwiniste e apertamente eugenetiche; la crisi dell’euro carica di odio verso “quei fannulloni pigri europei del Sud”; e, infine, l’apparizione di Alter- native für Deutschland, una forza elettoralmente nuova che in pochissimo tempo si è imposta alle urne. Pegida è il risultato di questo lungo processo di radicalizzazione della società tedesca.

Questo insorgere di un movimento razzista nel cuore della Germania, può essere interpretato come neonazismo o è un fenomeno totalmente nuovo?

La somiglianza con l’ascesa del fascismo di tipo anni Trenta è ovviamente seducente, perché siamo di fronte a una grave crisi sistemica del capitalismo. Per me, il fascismo è in realtà un’“ideologia della crisi”( krisis-ideologie ) che riguadagna sempre terreno in tempi di crisi. L’emergenza del razzismo è dovuta in parte alla paura, che viene proiettata sugli stranieri. I simpatizzanti di Pegida pensano di poter rimediare alla crisi facendo fuori i migranti e chiudendo le frontiere. Assurdamente incolpano gli stranieri per il crollo del loro livello di vita. Questo “estremismo del centro”, porta a una ribellione conformista, essenza stessa del fascismo. Questi lavoratori si sentono sfruttati ma sono incapaci di rivoltarsi contro il sistema capitalista e la struttura del potere autoritario, in cui si identificano. Riversano quindi la loro frustrazione contro i più deboli, già marginalizzati e “diversi”. L’ideologia dominante legittimando tutte le forme di esclusione si dirige verso la sua forma più estrema, quella razziale. La situazione diventerà davvero pericolosa se le élite, per preservare il loro potere, decideranno di prendere questa direzione.

Escludere gli altri per mantenere la propria identità?

Stiamo assistendo al risorgere della politica dell’identità, dal nazionalismo al separatismo. Quando tutto crolla intorno a sé, la società è spiazzata, la gente cerca capisaldi nella propria identità a cui si aggrappa e da cui espellere gli elementi stranieri. Ciò spiega la costante crescita dei movimenti islamisti e nazionalisti negli ultimi anni. Nei Paesi arabi colpiti dalla miseria, il credo religioso, alla base dell’identità, viene manipolata dagli islamisti verso forme estremiste di ideologia. Di fatto, lo Stato Islamico è un’organizzazione para religiosa fascista che ha eretto il suo potere sulle rovine del Medio Oriente. In Europa, l’identità nazionalista apre la porta all’ideologia della crisi fascista. In realtà, sia il fascismo europeo che l’islamismo arabo sono due versioni, cultural- mente diverse, di una stessa irrazionale crisi delle ideologie.