Sono giorni che le pagine di qualunque giornale cartaceo (o meno) vengono invase da elogi sperticati alla nuova enciclica Laudato si’ di Francesco. Mi aspetterei meno pagine sulla magnifica critica al modello consumistico della nostra società di questo papa “così moderno” e piuttosto terrei bene a mente, tra le 192 pagine dalla sua ultima enciclica, passaggi come questo per evitare che la soluzione sembri davvero quella del “rivoluzionario” Francesco: «Fermarsi a ringraziare Dio prima e dopo i pasti», e contemplare il mistero «in una foglia, in un sentiero, nella rugiada, nel volto di un povero».

Sono giorni che le pagine di qualunque giornale cartaceo (o meno) vengono invase da elogi sperticati alla nuova enciclica Laudato si’ di Francesco. 192 pagine in cui Bergoglio affronta cambiamenti climatici, inquinamento, scarsità delle risorse primarie, crisi sociali ed economiche, fino agli Ogm e alle sperimentazioni sugli animali. C’è tutto e di tutto. Perché il papa sentiva l’urgenza di chiedere a tutti «una conversione ecologica». Anzi di predicare una «autentica ecologia umana», così la chiama. Come mai, mi chiedo, tanta attenzione a cose così “terrene” da parte del leader del mondo ultraceleste? Poi, leggendo il testo, è chiaro. Perché la premessa dalla quale si parte è delle più classiche (e, nonostante il titolo, molto poco “francescana”), e cioè il famoso triangolo: io la natura e Dio. Una delle vecchie glorie migliori, “se fai male alla natura, fai un peccato contro Dio” ma non perché – come voleva il poverello d’Assisi – Dio è in ogni cosa ma perché ogni cosa è di Dio. Anche la natura. È uno dei suoi doni, anzi dei suoi “prestiti”, come la vita stessa. Noi, al più, siamo «amministratori responsabili», come scrive nell’enciclica, ma la proprietà della «casa comune» rimane “privata”. Dunque se fai un danno, lo commetti contro l’“unico” proprietario. Dio. E lo fai di sicuro, perché la seconda premessa su cui fonda l’«autentica ecologia umana» di Bergoglio è la retorica, anche quella straclassica, dell’uomo originariamente “cattivo” perché marchiato dal peccato originale, base insindacabile di qualunque “pensiero” cristiano e cattolico: «Questa sorella (la natura) protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari […] La violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi». Suolo, acqua, aria ed esseri viventi, il legame è presto fatto: «L’interdipendenza delle creature è voluta da Dio. Il sole e la luna, il cedro e il piccolo fiore, l’aquila e il passero […] nessuna creatura basta a se stessa, che esse esistono solo in dipendenza le une dalle altre, per completarsi a critica all’antropocentrismo deviato […] non possiamo illuderci di risanare la nostra relazione con la natura senza risanare tutte le relazioni umane fondamentali». Cattivi e interdipendenti sempre e per sempre, solo grazie a Dio e ai suoi “prestiti” possiamo “risanare” tutte le relazioni umane fondamentali. Bene, benissimo ma come? «Dal momento che tutto è in relazione – scrive Francesco – non è neppure compatibile la difesa della natura con la giustificazione dell’aborto. Non appare praticabile un cammino educativo per l’accoglienza degli esseri deboli […] quando non si dà protezione a un embrione umano, benché il suo arrivo sia causa di disagi e difficoltà. Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono». È chiaro? Lo so che pensate, “dal papa che ti aspetti?”. Ed io, in effetti, da lui non mi aspetto nulla di diverso. Mentre mi aspetterei meno pagine sulla magnifica critica al modello consumistico della nostra società di questo papa “così moderno” da parte, almeno, di quei colleghi che da anni scrivono articoli contro i family day di turno o in difesa della legge 194. Anzi mi aspetterei pagine diverse da loro. Perché dentro questa enciclica ci sono passaggi “spietati” sugli esseri umani, la loro natura e le loro relazioni, che non è possibile non vedere, neanche nel nome di tutti i fiori e i venti e i mari e gli uccellini del mondo. E non è possibile perché a non vedere o a vedere solo “pezzi” che convengono (nel senso che ci piacciono di più), si fa una fine brutta. Per esempio, noi donne potremmo finire “interdipendenti” a casa, umili e sobrie, a fare i lavoretti con tutti quanti i figli che Dio decide di mandarci. Io piuttosto terrei bene a mente, tra le 192 pagine, passaggi come questo: «Per questo non basta più parlare solo dell’integrità degli ecosistemi. Bisogna avere il coraggio di parlare dell’integrità della vita umana […]. La scomparsa dell’umiltà, in un essere umano eccessivamente entusiasmato dalla possibilità di dominare tutto senza alcun limite, può solo finire col nuocere alla società e all’ambiente. Non è facile maturare questa sana umiltà e una felice sobrietà se diventiamo autonomi, se escludiamo dalla nostra vita Dio e il nostro io ne occupa il posto, se crediamo che sia la nostra soggettività a determinare ciò che è bene e ciò che è male». E poi terrei a mente anche tutto il tempo che passiamo con i nostri figli e amici e amanti cercando di renderli autonomi, diversi da noi, indipendenti, sicuri della loro identità e certi di poter determinare il loro stare bene o meno bene. Per evitare che la soluzione sembri davvero quella del “rivoluzionario” Francesco: «Fermarsi a ringraziare Dio prima e dopo i pasti», e contemplare il mistero «in una foglia, in un sentiero, nella rugiada, nel volto di un povero».

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