Ascanio Celestini sul carcere

Tutti parlano di reati. Reati commessi per davvero o inventati. Reati passati, ma anche futuri. Quelli che faranno appena escono. Se mettono i microfoni nelle celle ci danno l’ergastolo a tutti». Questo mi racconta un detenuto siciliano. «Quando m’hanno messo dentro ho detto al direttore: voglio stare in cella con un italiano! E quello m’ha fatto: sei di Palermo, ti metto con un catanese. Adesso sto tranquillo,   mi faccio la mia pena». Il detenuto siciliano parla così, ma non lo so se è vero quello che dice. Veramente ha parlato col direttore del carcere e quello l’ha trattato come un confratello massone?

Anzi sono sicuro che s’è vantato e basta. Mi ha detto solo scemenze che fanno il paio coi suoi muscoli pompati. «Qui siamo peggio delle femmine» mi dice un anziano che mi indicano come appartenente alla famosa banda della Magliana. Significa che ci tengono all’aspetto. Sbarbati, profumati, abiti puliti e possibilmente un po’ di marca. Niente di costoso perché qui sono quasi tutti senza   una lira, ma hanno una dignità che somiglia a quella di certi abitanti di borgata che girano in tuta da ginnastica, ma non quella scrausa del mercatino. Questa è gente che si stira le mutande con la moka scaldata sul fornelletto nell’angolo della cella accanto al cesso. Cos’altro dovrebbero fare durante il giorno se per loro lo stato spende quotidianamente poco più di 5 euro per il cosiddetto trattamentale?

Sarebbe un pezzo di quel lavoro che dovrebbe riportarli nella società, ma in quella banconota verdina ci devi mettere i trasferimenti da e per i tribunali, gli impacchettamenti e gli spacchettamenti per portarti in altre galere…

Appena entrano in carcere comincia il loro teatro. Si mettono un costume di scena e incominciano a recitare. I reati veri o finti sono parte della stessa recita. Il capello tagliato alla moda e la maglia colorata con la virgola della Nike, il tatuaggio impeccabile accanto a quello   fatto in cella con l’inchiostro della penna. Nella commedia del carcere ognuno ha il suo personaggio.


I detenuti al 30 giugno 2015 sono 52.754. Guardando sempre al mese di giugno i detenuti erano 31.053 nel 1991 (c’era stato da poco il provvedimento di amnistia, l’ultimo del dopo-guerra), sono cresciuti sino a 54.616 nel 1994 (dopo la riforma dell’ordinamento penitenziario e la preclusione all’accesso alle misure alternative per un gran numero di detenuti), 56.403 nel 2003 (all’indomani della legge Bossi-Fini sull’immigrazione), 63.630 nel 2009 (esito delle leggi sulle droghe e sulla recidiva), fino al triste record di 68.258 nel 2010 (che ci è valsa la condanna della Corte Europea nel 2013)….dal Rapporto Antigone 2015 di cui parliamo qui [divider] [/divider]

 

La società gliel’ha insegnato. Stanno lì dentro per recitare la parte dei cattivi. Serve a quelli che restano fuori che altrimenti non riuscirebbero   a sentirsi buoni.   L’articolo 27 è uno dei tanti che riempie le prime   pagine della Costituzione con i suoi geroglifici non decodificabili. In Italia quelle prime pagine   fanno ridere, figuriamoci in questo ghetto   sbarrato.   Chi sta in galerAbolire il carcere_Manconia conosce un’altra legge. Gli   chiedi ignorantemente “perché stai dentro?” e ti rispondono «per un errore. Un errore mio o  del giudice» e ridono. Ma il carcere lo conoscono meglio di tutti. Meglio dei cittadini pagatori di tasse che vorrebbero vedere tutti dietro al   blindato. Meglio dei politici che ogni tanto ci  finiscono e nonostante quest’esperienza non   imparano nulla e si sentono pure perseguitati (una volta i padri costituzionalisti si vantavano di aver conosciuto la prigione!). Meglio dei   giudici che ce li mandano e pure delle guardie che li controllano pensando che la prigionia sia tutta gestita da loro.

No, la galera è un fatto personale. Il detenuto se ne rende conto dopo poche ore. È fatta di  droga se ti serve e c’hai i soldi, psicofarmaci a pioggia, un po’ di sesso da solo o con qualcun altro se non ti fa troppo schifo. In cella cerchi di farti tutto, costruisci il frigo col ghiaccio della ghiacciaia comune e il tetrapack del latte. La grappa con la serpentina di penne Bic mezze squagliate, il vino con l’uva marcita. La cocaina e l’eroina arriva nei maglioni messi a mollo nell’acqua con la robba. Il parente te l’asciuga e tu te lo rimetti a mollo per fartela.

Chiedo a uno che in carcere c’ha passato una vita “ma la maggior parte si perde?” «No, per niente» risponde  lui indicandomi la percentuale stimata di robba recuperata. Pure la frutta e la verdura gli hanno sequestrato una volta perché la siringavano di acidi. La galera è così. Abolire il carcere è un libro da regalare a quelli che straparlano al bar con la preghiera di leggerselo per davvero e smettere di dire sciocchezze. Ogni riga ribadisce in maniera incontestabile l’inutilità di questa istituzione stupida  e nazista. Renzi sostiene che l’articolo 18 della  legge 300 è vecchio, lo paragona al gettone nell’era dell’iPhone. Figuriamoci la galera! Una robba inventata molto prima del telefono di Meucci. Perché il Renzi non se ne disfa come del gettone? Forse la galera gli serve. Serve a lui che ha il Paese dalla parte del manico e a tutti quelli, di destra e sinistra, che stanno fuori. Ammazzare la gente mettendola in queste tombe per i vivi serve ai cittadini per non sentirsi morti del tutto.

(da Left numero 18)