Stefano Rodotà critica il compromesso raggiunto sulle unioni civili tra Pd e Ncd. Da martedì 8 si torna in commissione al Senato
«Nella ricerca affannosa di un compromesso, si è fatto riferimento alla formula “formazione sociale specifica” per segnare una distinzione tra queste coppie e quelle eterossessuali unite in matrimonio. Ma questo espediente semantico è una forzatura, perché di formazioni sociali parla l’articolo 2 della Costituzione e sotto questa espressione stanno tutte le coppie». Stefano Rodotà, con un lungo editoriale su Repubblica, scrive così della legge Cirinnà, che questa settimana riprende il suo cammino al Senato.

 

Martedì 8 torna a riunirsi la commissione Giustizia, gli emendamenti non si contano, con l’immancabile ostruzionismo di Carlo Giovanardi, e non è escluso che comunque si finisca per andare in aula senza relatore – un escamotage parlamentare per non far votare il testo in commissione.

 

Il compromesso di cui scrive Rodotà è quello che il Pd ha trovato con l’alleato Angelino Alfano. Ncd continuerà a puntare i piedi chiedendo che sia ribadito il divieto alla maternità surrogata – già vietata dalla legge 40 ma possibile in molti Paesi esteri, compresa Inghilterra e California – ma potrà così vantare di aver difeso i matrimoni, sancendo – come se ce ne fosse bisogno – che quella in discussione non è un legge mossa dal principio della piena uguaglianza. Sono unioni civili, semmai, che stabiliscono anche il diritto all’adozione del figlio del partner. Va bene, ma non sono matrimoni egualitari.

 

E se sui matrimoni gay Rodotà ricorda che il parlamento non è obbligato a riconoscerli (come invece la Corte Europea ci prescrive di fare per le unioni civili), ma farebbe molto bene («Perché aspettare?»), il giudizio sulla mediazione lessicale è duro: «Inventarsi la “formazione sociale specifica” è un travisamento della Costituzione, e la sua vera finalità, dovendo avere il coraggio di chiamare le cose con il loro vero nome, non è quella di introdurre una distinzione, ma di riaffermare una discriminazione». Alcuni costituzionalisti, in questi giorni, hanno avanzano dubbi sulle ripercussioni che questa nuova formulazione potrebbe avere nell’estensione di alcune norme dedicate ai nuclei familiari. «Non è possibile introdurre un riconoscimento delle unioni civili che si presenti come una chiusura, come una concessione basata su una discriminazione», continua il professore, «non cediamo a un realismo regressivo».

 

Bella, in chiusura, per completare il suo ragionamento non più in punta di diritto ma politico, è la citazione che Rodotà fa di Andrea Pugiotto, professore ordinario di Diritto costituzionale nell’Università di Ferrara: «Che ci ricorda come “il paradigma eterosessuale del matrimonio crea incostituzionalità perché oppone resistenza non a un capriccio, né a un desiderio, né ad una “innaturale pretesa”, ma al diritto individuale alla propria identità personale”».
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