Si parla di partecipazione italiana ai bombardamenti contro l'ISIS. A cosa servirebbe? Secondo il comandante delle truppe italiane in Libano negli anni più duri: «E' un'illusione ritenere che esistano scorciatoie militari che possano portare alla soluzione di crisi che chiamano in causa la politica»

Se c’è un militare  italiano che conosce  perfettamente la realtà mediorientale, questo è il generale Franco Angioni, comandante del contingente italiano in Libano negli anni più duri della guerra civile che dilaniò il Paese dei Cedri. «Di fronte alle azioni dei miliziani dell’Isis – dice il generale Angioni a Left – i bombardamenti aerei non solo sono di scarsa efficacia ma rischiano di  essere controproducenti perché possono fare vittime fra la popolazione civile».

Generale Angioni, l’Italia sembra prendere in considerazione l’ipotesi di bombardare l’Isis in Iraq. Da profondo conoscitore della realtà mediorientale, qual è la sua valutazione?

L’Italia si è impegnata a dispiegare 4 Tornado in Iraq per missioni di ricognizione e accertamento di obiettivi, senza però il coinvolgimento in azioni di attacco. Ora, invece, sembra che ci sia stato richiesto l’intervento anche in missioni di bombardamento. Sul piano del “rendimento”, considerato che il pericolo maggiore è rappresentato dalle azioni che i miliziani di Isis conducono, il bombardamento aereo non solo è di modesta efficacia ma rischia di rivelarsi controproducente per il pericolo di un coinvolgimento di obiettivi non militari nei raid aerei. Una tragica e recente conferma è il bombardamento che ha colpito l’ospedale di Medici Senza Frontiere a Kunduz, in Afghanistan.

Lo strumento militare in Medio Oriente sembra l’unico praticato.

Purtroppo è così. La politica è stata estromessa dall’azione che si sta conducendo, in Iraq come in Siria, e di conseguenza i risultati non possono dirsi soddisfacenti. Stabilito che la politica deve precedere e gestire l’intervento militare, è indispensabile che l’efficacia dell’azione militare riduca al massimo i “danni collaterali”. Questa vale oggi soprattutto per la Siria, è bene essere chiari su questo punto: ritenere che in determinati casi sia possibile avviare un processo di stabilizzazione senza lo strumento militare, è utopia. Ma è una tragica illusione ritenere che esistano scorciatoie militari che possano portare alla soluzione di crisi e conflitti che chiamano in causa la politica e i suoi protagonisti.

Matteo Renzi ha criticato l’atto unilaterale compiuto dalla Francia con i raid aerei in Siria. Ma ora non si rischia un bis italiano in Iraq?

Coerenza vuole che non sia così. Quanto meno lo spero vivamente. E lo dico partendo dalla lunga esperienza maturata sul campo, e in momenti e luoghi particolarmente difficili, come il Libano negli anni della guerra civile. La situazione è già difficile ed è foriera di grossi pericoli. Non stiamo parlando solo dell’Europa, i protagonisti sono molteplici e spesso in conflitto di interessi fra loro (vedi Arabia Saudita e Iran).  Per questo ogni azioni deve essere concordata, senza ergersi a improbabili primi della classe, e gli obiettivi militari devono essere assolutamente concordanti con una ben definita strategia politica.