Due rapporti delle organizzazioni globali per i diritti umani dettano l'agenda alle istituzioni europee. Più coordinamento, superamento del sistema Dublino e non affidarsi a Paesi terzi dove si violano i diritti umani

«Dopo un anno in cui abbiamo monitorato in maniera costante e sul posto gli sbarchi, le procedure e le modalità dell’accoglienza, dopo aver denunciato le cose che abbiamo visto, ora scegliamo di pubblicare un rapporto breve e molto policy oriented che spiega cosa non va e cosa occorrerebbe fare». A parlare è Judith Sunderland, responsabile di Human Rights Watch per l’Europa e l’Asia centrale. Nei giorni in cui si parla di ritorno alla chiusura delle frontiere in maniera ossessiva, di abolizione di Schengen, Human Rights Watch e Amnesty International, le grandi organizzazioni globali che fanno campagna per i diritti umani, decidono di pubblicare ciascuna un rapporto per denunciare le disfunzioni del sistema di asilo europeo e fare appello e lobby sulle istituzioni dell’Unione affinché affrontino l’emergenza umanitaria di questi mesi in maniera nuova e ambiziosa.

«Certo, dopo le stragi di Parigi il contesto è cambiato e i Paesi dell’est si sentono rafforzati nelle loro convinzioni e resistono ancora di più all’idea di partecipare al piano europeo di redistribuzione dei rifugiati. La verità però è che un sistema efficace di controllo e gestione degli sbarchi, non solo è migliore da un punto di vista dei diritti umani di quelle persone, ma è anche più sicuro», continua Sunderland «La verità è che il processo di trasferimento delle persone in altri Paesi gestito dall’Unhcr è molto rigoroso. A volte persino troppo lungo, proprio per verificare che le cose siano come i rifugiati le raccontano. L’altra verità è che l’Europa deve fare la sua parte perché siamo di fronte a una crisi globale di dimensioni epocali».

Il tema infatti non è chiudere le frontiere, come spiega bene Jytte Klausen su Foreign Affairs, il problema non è la chiusura delle frontiere:

L’assenza e l’incapacità di coordinamento mettendo da parte le divisioni il vero problema. Molto prima che la crisi dei rifugiati portasse migliaia e migliaia di migranti disperati sul suolo europeo, la polizia e altri funzionari responsabili per il monitoraggio dei terroristi si erano lamentati dell’assenza di condivisione delle informazioni o di un registro a livello europeo degli estremisti considerati pericolosi ha reso impossibile il loro lavoro.

Human Rights Watch e Amnesty International scelgono di parlare con una sola voce mettendo in fila i numeri, le criticità e formulando proposte puntuali. Ancora più urgenti dopo che gli attentati di Parigi rischiano di far fare passi indietro alla già balbettante politica europea nei confronti dei richiedenti asilo in fuga dalle guerre in Siria, Iraq, Afghanistan (e poi dalla repressione in Eritrea, Sudan, Etiopia).

Il rapporto di Human Right Watch (Europe’s Refugee Crisis: An Agenda for Action)  sedici pagine puntuali nelle quali si spiega cosa non va nelle politiche europee e si dettaglia cosa e come si dovrebbe agire. «In un mondo in cui aumentano i conflitti e le violazioni dei diritti umani, la leadership dell’Unione europea è più importante che mai. Gli orribili attacchi di Parigi sottolineano la necessità di una efficace risposta collettiva alla crisi dei profughi che consenta un adeguato screening per i richiedenti asilo, compresi coloro che fuggono la violenza ISIS in Siria e Iraq». Il concetto espresso da Sunderland è chiaro: più coordinamento e dei percorsi ben strutturati e organizzati significano, oltre che diritti certi, anche più sicurezza.

Tra i punti critici su cui lavorare c’è il sistema di Dublino, che ad oggi ha generato anche problemi di controllo e riconoscimento delle persone. In molti infatti cercano di aggirare i controlli in Grecia o Italia perché non vogliono rischiare di passare mesi in attesa nei Paesi mediterranei nei quali sono sbarcati – il sistema Dublino prevede che il richiedente asilo debba farlo nel primo Paese nel quale entra. Senza superare quelle regole, non solo i rifugiati in fuga patiranno più soprusi, ma anche la sicurezza rischia di essere un problema: più persone che cercano di non farsi registrare all’ingresso, sono un mare più grande nel quale un eventuale terrorista può nascondersi.

I rapporti mettono l’accento sui rischi connessi all’affidare ai Paesi terzi il ruolo di “piantoni” della fortezza Europa. Senza controlli, accordi chiari e un monitoraggio continuo, l’idea di far svolgere al Marocco o ad altri Paesi africani il ruolo di muro dell’Europa fuori dai confini Ue è un rischio enorme per le persone in fuga. Su questo aspetto si sofferma a lungo Paura e recinzioni. Come l’Unione europea tiene lontani i rifugiati“, il rapporto di Amnesty, che è un lungo elenco documentato di violazioni dei diritti umani e di cose che non vanno nel sistema dei controlli alle frontiere. «Arrendersi alla paura sulla scia degli efferati attacchi di Parigi non servirà a proteggere nessuno. Le persone in fuga da persecuzioni e conflitti non sono scomparse, né lo è il loro diritto alla protezione. Dopo questa tragedia, la mancata estensione di solidarietà per le persone in cerca di rifugio in Europa, spesso in fuga dallo stesso tipo di violenza, sarebbe una vile abdicazione di responsabilità e una tragica vittoria del terrorismo sull’umanità».
Anche il rapporto di Amnesty contiene raccomandazioni.

 

Ecco una sintesi delle proposte di HRW:

  • L’Unione europea ei suoi Stati membri dovrebbero lavorare insieme per:
    Salvare vite in mare attraverso robuste operazioni di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo centrale e nel Mar Egeo;
  • Ridurre la necessità di viaggi pericolosi aumentando il reinsediamento dei rifugiati, facilitando il ricongiungimento familiare, e fornendo visti umanitari;
  • Risolvere il caos alle frontiere europee attraverso una maggiore preparazione e coordinamento, più rapida implementazione dei protocolli di trasferimento di emergenza, e l’accesso a procedure di asilo eque ed efficaci – anche in Grecia e alle frontiere terrestri tra Bulgaria e Turchia – e condizioni di accoglienza dignitose in tutta la regione;
  • Riparare un sistema europeo dell’asilo che fa acqua a partire dalla sostituzione del “sistema Dublino” con un meccanismo permanente per la distribuzione equa dei richiedenti asilo e l’individuazione di sistemi per far rispettare le norme europee a tutti gli Stati membri;
  • Rispettare i diritti dei migranti nella cooperazione con i paesi al di fuori delle frontiere europee, progettando con attenzione ed effettuando missioni di monitoraggio;
  • Mettere i diritti umani al centro degli sforzi diplomatici per affrontare le cause profonde dei flussi di rifugiati e di migranti.


Il prezzo delle recinzioni della Fortezza Europa

In tutto, gli stati membri dell’Unione europea hanno costruito oltre 235 chilometri di recinzione alla frontiera esterna, con un costo superiore a 175 milioni di euro:
– 175 chilometri alla frontiera tra Ungheria e Serbia;
– 30 chilometri alla frontiera tra Bulgaria e Turchia, cui si dovrebbero aggiungere altri 130 chilometri;
– 18,7 chilometri alla frontiera tra le enclave spagnole di Ceuta e Melilla e il Marocco;
– 10,5 chilometri nella regione dell’Evros alla frontiera tra Grecia e Turchia.

Piuttosto che impedirne l’arrivo, queste recinzioni hanno ottenuto l’unico risultato di dirigere i flussi di rifugiati lungo altri percorsi terrestri o rotte marittime maggiormente rischiose.

Secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), nei primi 10 mesi e mezzo del 2015 gli arrivi via mare sono stati 792.883, rispetto ai 280.000 arrivi via terra e via mare registrati nel 2014 da Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere. Finora quest’anno 647.581 persone sono arrivate via mare in Grecia: secondo l’Unhcr il 93 per cento di esse proviene dai 10 principali paesi di origine dei rifugiati.

Alla data del 10 novembre, circa 3500 persone erano morte nel mar Mediterraneo, 512 delle quali nel mar Egeo.

(da Paura e recinzioni, come l’Ue tiene lontani i rifugiati)


 

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