L'Italia è stata condannata due volte dalla Corte di Strasburgo, ma la legge fa la spola tra le Camere (che la peggiorano) e il governo non sembra intenzionato a fare pressioni. A questo serve la petizione lanciata su Change.org

Tortura. Un termine che nell’ultimo anno è tornato prepotentemente, per due volte, alla ribalta della cronaca italiana.

La prima volta fu ad aprile quando la Corte Europea dei Diritti Umani condannò l’Italia a risarcire Arnaldo Cestaro che, nel luglio 2001, si trovava all’interno della Diaz durante il G8 di Genova. Per Strasburgo le violenze subite in quell’occasione e inflitte dai pubblici ufficiali che fecero irruzione nella scuola erano qualificabili come “tortura”.

Il secondo caso è invece di pochi giorni fa. Lo scorso 23 novembre i giudici di Strasburgo hanno ritenuto ammissibile il ricorso presentato da Antigone e realizzato con la collaborazione di Antonio Marchesi, presidente di Amnesty International Italia. In questo caso il Governo però ha dimostrato di non avere intenzione di aspettare la condanna. Del resto troppo forte fu la presa di posizione del giudice che in Italia seguì il processo e nella sentenza scrisse che i fatti avvenuti in quel carcere erano qualificabili come tortura, ma che i responsabili non potevano essere puniti per l’assenza di una legge apposita nel nostro ordinamento.

Il 10 dicembre 2004 due detenuti vennero denudati, condotti in celle di isolamento prive di vetri nonostante il freddo intenso, senza materassi, lenzuola, coperte, lavandino, sedie, sgabello, razionandogli il cibo, impedendogli di dormire, insultandoli e sottoponendoli nei giorni successivi a percosse quotidiane anche per più volte al giorno con calci, pugni, schiaffi in tutto il corpo e giungendo, nel caso di uno dei due, a schiacciargli la testa con i piedi.

Torture appunto. Torture che il giudice non poté punire e che oggi implicitamente il governo riconosce offrendo ai due ex detenuti una composizione amichevole. 45.000 € ciascuno per evitare il giudizio e, verosimilmente, un’altra condanna.

Nel frattempo però l’approvazione di una legge che punisca la tortura appare sempre più lontana. Approvata in prima lettura al Senato nel marzo del 2014 è stata trasmessa alla Camera che – sull’onda della sentenza europea sulla scuola Diaz e con Matteo Renzi che dichiarava avrebbero risposto alla condanna con una legge – la approvò lo scorso mese di aprile. Un testo che modificato è però tornato al Senato dove, tra disinteresse e volontà di modificare nuovamente il testo, per altro difforme da quello della Convenzione delle Nazioni Uniti, rischia di essere nuovamente accantonato.

Per spingere governo e parlamento ad approvare la legge Antigone lanciò nel marzo 2014 una propria campagna: “Chiamiamola Tortura”. Un nome non casuale. Tortura è un termine che in Italia non esiste. Da noi si parla di lesioni, magari di violenza. Ma di tortura mai. Per questo la campagna fu chiamata così, per restituire a questa parola il suo significato pieno, profondo, che sa di crimini contro l’umanità. Insomma, per tornare a chiamare le cose con il loro nome.

Testimonial della prima ora furono Erri De Luca, Massimo Carlotto, Ilaria Cucchi, Piotta, Mauro Palma. A loro si sono uniti oltre 52000 cittadini che firmarono la petizione su www.change.org/chiamiamolatortura. Una campagna che ancora prosegue, anche sui social con l’hashtag, #SubitoLaLegge.

La tortura in Italia esiste ed è praticata. Serva una legge che lo riconosco e che permetta di punirla.

*Antigone