Reportage da Colonia dopo la notte di Capodanno che ha sconvolto l'Europa

Colonia il cielo è limpido, ma c’è un freddo pungente. Il sole delle 13 di sabato 9 gennaio irradia le persone raggruppate sugli scalini tra il duomo e la stazione centrale, l’Hauptbahnhof. Matthieu (il nome è di fantasia), 30 anni, si aggira nervoso. I suo grandi occhi azzurri sono incastonati in un viso pallido, nascosto sotto a un cappuccio grigio – lo sguardo invasato. Dalla bretella destra del suo zaino penzola un rosario di legno. Ogni volta che muove le braccia, la croce sobbalza. Sei un “mollaccione”. Mi fai schifo. Sono venuto dalla Francia per difendere le tue donne. Vuoi aspettare che questi musulmani te le violentino tutte?, esclama in inglese, indicando un signore brizzolato sulla cinquantina. Un ragazzo tedesco-tunisino che passa di lì, lo sente e si ferma. Cominciano a discutere. Il tedesco dice di capirlo, che gli arabi che hanno in Francia sono spazzatura, racalle, ma che in Germania è diverso, che non deve generalizzare.
Henriette, 65 anni, ha in mano un cartello che recita: “Angela Merkel , sei riuscita a farci preoccupare per la vita dei nostri nipoti”. Karl, un signore di settant’anni, dice che ci vorrebbero quelli marroni, Die Braunen, per dare una lezione a questi qua. Quando gli chiedo chi siano i “marroni”, si imbarazza, mi guarda e dice: Beh, insomma, i fascisti, no? Die Faschisten. Tutt’intorno ci sono altri 5 o 6 gruppi di persone che discutono di religione, del senso dell’integrazione, del «multikulti» (un’abbreviazione che sta per “multiculturalità”).
In fondo agli scalini cinquanta persone osservano il tutto. Altre passano e scorrono via. I cameraman delle emittenti televisive sono sparsi per la piazza e a turno si avvicinano per qualche ripresa. A una settimana dai fatti di Capodanno, la piazza della Stazione centrale di Colonia somiglia a un palcoscenico pronto a essere occupato da chiunque. Basta un po’ di coraggio. In televisione ci si va di sicuro. Intanto, alle ore 15, dall’altro lato della stazione va in onda il secondo atto della saga Silvesternacht, “Capodanno”. Se c’è qualcuno che è pronto a cavalcare l’onda degli avvenimenti sono i Patrioti contro l’Islamizzazione del Mondo Occidentale, cioè Pegida.

Nero-Rosso-Giallo

Il Breslauer Platz è un’enorme isola pedonale, divisa da un’entrata della metro. Da una parte, un tripudio di bandiere nero-rosso-oro. Dall’altra, i movimenti anti-razzisti e anti-fascisti. A fare da contorno 1.700 forze dell’ordine. Da un anno e mezzo, ogni volta che Pegida scende per strada, i movimenti di sinistra organizzano contro-manifestazioni. Questa volta però la competizione ha una sfumatura diversa: vince chi riesce a rivendicare il “discorso anti-sessista”. Nell’aria si sente tutto il peso dei fatti dei giorni scorsi. Le persone raccolte lungo il binario 11 della stazione sembrano quasi spettatori di un match. Tra queste c’è Anastasia, 33 anni, architetto, originaria del Khirgizistan e cresciuta in Germania. La notte di Capodanno si trovava poco lontano dalla stazione e dal duomo: Eravamo a due passi, all’inizio del ponte. C’era una quantità di gente incredibile. Sul momento non mi sono resa conto. Solo più tardi ho capito cosa avevo scampato. Le chiedo se ce l’ha con i rifugiati. Dice di no. Ma crede che 1.1 milioni (il numero di rifugiati arrivati in Germania nel 2015) siano troppi. La regione Nord Reno Westfalia, ne ha accolti 310mila quest’anno. 10mila hanno trovato dimora a Colonia. Quando chiedo ad Anastasia se ha paura di andare in giro da sola, ride. Poi si fa seria: Quello che mi spaventa sono le conseguenze che possono esserci ora. Confessa che quella è la sua prima manifestazione. È come se fosse stata risucchiata nella politica senza neanche volerlo. Probabilmente è successo a molti dopo il 31 dicembre. Verso le 17 i cortei dell’Antifa e di Pegida prendono il via e fanno il loro corso. La prima finisce pacificamente un’ora e mezzo dopo al Hans Böckler Platz. La seconda viene sciolta dalla polizia con gli idranti.

Ce l’hanno con gli arabi

Descrivere la Colonia degli ultimi 30 anni è facile: città di confine; città che ha accolto migliaia di migranti italiani e turchi; città del carnevale più sfarzoso di Germania. In due parole: città aperta. Forse proprio per questo il Paese si sente ancora più ferito. La gente ha cominciato a interessarsi alla fede musulmana dopo l’11 settembre del 2001, racconta Sarah (ancora un nome di fantasia), 34 anni, quando le chiedo del rapporto tra Colonia e la sua confessione. La incontro dopo la manifestazione in un bar del quartiere belga. I muri sono tappezzati di vecchi libri senza copertina. Lei è nata in Azerbaigian. Nel ’96, quando aveva 14 anni, i suoi genitori decisero di trasferirsi in Germania. Mi racconta dell’ossessione di dover imparare il tedesco. Perché sono venuti qua? Perché i miei genitori volevano garantire una formazione a me e mio fratello, afferma. La sua non è una storia fatta di povertà, miseria e guerre, anzi: sua madre è chirurgo e sapeva il tedesco già prima di trasferirsi. Anche in Germania ha trovato lavoro in ospedale. Sarah dice che ancora oggi sua madre specifica di essere medico quando si presenta al telefono: Lo fa per compensare il suo accento. C’è ancora un razzismo delle piccole cose in questo Paese. Poi però ammette che sua madre ce l’ha con gli arabi che arrivano ora. Fosse per sua madre, entrerebbero in Germania solo persone qualificate.


 

Continua sul n. 3 di Left in edicola dal 16 gennaio 2016

 

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