La lunga battaglia legale e nella società, intervista a James Esseks, direttore del programma LGBT della American Civil Righs Union: «Molto è cambiato quando invece di parlare solo di diritti abbiamo cominciato a parlare di affetti». Sulla legge italiana: «L’idea che occorra discutere persino di una forma limitata, annacquata e speciale di riconoscimento delle adozioni, che non è la legittimazione delle adozioni come sostiene chi si oppone all’idea, è francamente stupefacente»

«Credo che la stepchild adoption non possa non essere riconosciuta in una legge sulle unioni civili (nel testo in discussione c’è, ma il rischio è che venga cancellata dagli emendamenti presentati o che venga ridimensionata, limitandola ai bambini già nati e non a quelli che nasceranno, ndr). La discussione che il Paese dovrebbe avere è: queste coppie sono famiglie? Sono parte del tessuto sociale italiano? Nel 2016 la risposta è certo che sì: queste sono persone che hanno figli, che li amano e di cui si occupano, spesso figli che nessuno ha voluto. Eliminare quei diritti dal testo di legge il riconoscimento di questa realtà, non fornire le protezioni adeguate ai minori e significherebbe non riconoscere la realtà sociale della vita e delle coppie omosessuali. L’idea che occorra discutere persino di una forma limitata, annacquata e speciale di riconoscimento delle adozioni (negli Stati Uniti le coppie omosessuali possono), che non è la legittimazione delle adozioni come sostiene chi si oppone all’idea, è francamente stupefacente». James Esseks, responsabile per le questioni LGBT della ACLU, la American Civil Liberties Union, importante e antica organizzazione per i diritti civili statunitense,  è in Italia – oggi a Milano nei giorni scorsi a Roma con ArciGay e la CILD, Coalizione Italiana per i Diritti Civili- per raccontare come ha funzionato la battaglia per il matrimonio egalitario, con lui siamo partiti dalla discussione in Italia.

La storia del riconoscimento del matrimonio tra persone dello stesso sesso è lunga anche negli Usa. Molti successi e molte battute d’arresto. Con dei salti clamorosi e un cambiamento repentino nell’opinione della società, che è poi quello che in parte spiega la sentenza della Corte Suprema che ha legalizzato il matrimonio in tutto il Paese…

È una storia molto lunga. Con più gente che usciva allo scoperto, il Paese cominciava a conoscere le persone LGBT, a capirne l’umanità comune. Non è un processo istantaneo ma è questo che ha spinto ai grandi cambiamenti legislativi in materia di diritti che gli Stati Uniti hanno conosciuto negli ultimi anni. Più omosessuali in Tv, più personaggi gay nelle serie o nei film, semplicemente c’è un pezzo di società americana che pian piano viene riconosciuta e si fa riconoscere. Famiglie omosessuali che adottano bambini e che non vivono nei tradizionali “ghetti”, nei quartieri ad alta concentrazione di omosessuali, ma nei suburbs dove interagiscono e conducono la vita dei loro vicini di casa. Questo è il processo di sfondo nella società ed è un percorso a palla di neve: più cambiamenti ne determinano altri e così via. Poi c’è la campagna: è dagli anni 70 che la battaglia legale va avanti. La prima volta davanti a un tribunale fu proprio la ACLU a portare il tema in tribunale e fu una sconfitta catastrofica. Ma ogni volta che si è discusso in una corte di Giustizia, il Paese ha capito cose nuove e ha discusso. Queste battaglie legali, gli argomenti che usavamo allora, sono gli stessi a quelli con i quali abbiamo vinto negli ultimi anni: ho letto le carte, sono identiche. Il fatto è che la società non era pronta ad ascoltare quegli argomenti, non riconosceva il fatto che gli omosessuali fossero semplicemente un pezzo della società: eravamo visti come sdolcinati, strani, facevamo un po’ paura ed eravamo anche un po’ disgustosi. Nei primi anni 90 una battaglia legale nelle Hawaii è quella che ha cambiato la discussione nazionale. Persa anche quella, ma è in quegli anni che abbiamo capito che il successo non era necessariamente legato alle vittori legislative o nei tribunali ma alla nostra capacità di spostare, usando gli strumenti politici e legali, la percezione dell’opinione pubblica. Nei primi anni 90 i contrari erano i due terzi della popolazione.

Nel 2004 c’è un cambiamento repentino, come mai questo salto nell’opinione pubblica? Cosa è successo?

Quell’anno il Massachusetts ha approvato la legge che riconosceva il diritto a sposarsi, ma non solo, nell’urna di 14 Stati c’erano referendum sulla questione. Bush correva utilizzando l’argomento che occorresse emendare la costituzione per definire il matrimonio come esclusivo tra uomo e donna. Perdemmo tutti quei referendum e Bush in parte venne rieletto perché in alcuni Stati quel tema mobilitò l’elettorato evangelico. Ma di nuovo, per mesi si parlò del tema. Se vuoi cambiare l’opinione delle persone su un tema devi fare in modo che le persone ci pensino e ne discutano. Questo è quel che abbiamo fatto, perdendo una battaglia dietro l’altra. Ma le crociate hanno anche determinato un cambiamento nell’opinione pubblica moderata.

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Un’altra cosa è un’aumentata capacità di suscitare empatia nella società. Fino all’inizio degli anni 2000 ogni volta che andavamo a parlare del matrimonio per persone dello stesso sesso parlavamo esclusivamente di diritti. Cercavamo di spiegare che ci sono diritti legali collegati all’istituto legale del matrimonio (700 nelle leggi dello Stato di New York, 800 in California) che tutti davano per scontati senza capire che c’era una porzione di società che non ne godeva. Ma dopo la sconfitta al referendum in California nel 2008 ci siamo chiesti cosa sbagliavamo. Abbiamo fatto un po’ di ricerche a campione chiedendo alle persone “perché ti vuoi sposare” e la risposta era a maggioranza: “per esprimere amore e impegno davanti a famiglia e amici”. Poi chiedevamo: “perché pensate che i gay vogliano sposarsi?” e la risposta era “per i diritti”. In molti evitavamo di parlare di amore, per la paura che la prima cosa che sarebbe venuta in mente è l’immagine di omosessuali che fanno sesso. La verità è che quando abbiamo cominciato a parlare di amore, l’opinione delle persone è cambiata a un ritmo più rapido.

Che resistenze ci sono state dopo la sentenza della Corte Suprema?

C’è stata una risposta legale in Kentucky – il caso famoso di Kim Davis – e in qualche contea dell’Alabama, lo Stato più conservatore del Paese. Sono piccole cose, c’è una accettazione generale: c’è però una spinta di alcune organizzazioni religiose, che sostengono che dovendo implementare alcune norme, la loro libertà religiosa venga limitata. Qualcosa che abbiamo visto molte volte relativamente ai diritti civili: il Civil rights act del ’64 dice che sono vietate le discriminazioni sulla base di razza, religione, sesso e alcune organizzazioni già usarono questo argomento. E il Congresso respinse l’ipotesi.

Cosa farà la comunità LGBT alle elezioni del 2016? Otto anni fa c’è stata una grande mobilitazione, meno nel 2012. Quest’anno?

Nel 2008 la mobilitazione fu enorme, si riteneva che Obama avrebbe prodotto dei cambiamenti in materia di diritti. E così è stato. Quando il presidente ha parlato in maniera aperta e diretta di matrimonio gay ha contribuito direttamente ad alcune vittorie cruciali. Anche se ci ha messo del tempo: sono andato all’università con il presidente e credo che già allora avesse un’idea piuttosto aperta sul tema. Ma la politica è la politica e fino a quando la comunità che si era tanto mobilitata nel 2008 non ha protestato, Obama è rimasto troppo timido sulla materia. Nel 2012 le cose sono cambiate: c’erano una serie di referendum e in un paio di Stati eravamo indietro nei sondaggi. In quegli Stati c’è una discreta porzione di elettorato afroamericano, che tradizionalmente sui temi etici è relativamente conservatore. Bene, dopo le parole di Obama, i sondaggi hanno cambiato segno e noi abbiamo vinto. Quella tornata referendaria è stata un punto di svolta. Stavolta credo che ci sarà la consapevolezza che servano altri anni per non fare passi indietro e rendere i cambiamenti di questi anni in materia di diritti – anche degli immigrati e di altre componenti della società – permanenti.

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