Previste dalla teoria della relatività generale, le onde gravitazionali sono la prova di come la massa riesca a curvare lo spaziotempo. La storia di una grande scoperta scientifica che conferma le intuizioni di Albert Einstein

(Ripubblichiamo l’articolo di Pietro Greco pubblicato su Left del 23 gennaio, precedente all’annuncio dell’effettiva scoperta delle onde)

Sono bastati due tweet a Lawrence Krauss, docente di fisica teorica presso l’Arizona State University di Tempe e autore di best seller divulgativi, come La Fisica di Star Trek, per riaccendere i riflettori degli scienziati e dei media di tutto il mondo sulla relatività generale di Albert Einstein, mentre i festeggiamenti per il centenario di quella che molti considerano la più bella teoria fisica di ogni tempo non si erano ancora spenti.

Il primo, postato lo scorso 25 settembre diceva: «Voci sul rilevamento di onde gravitazionali presso l’interferometro LIGO. Affascinanti, se vere».  Il secondo, postato lo scorso 11 gennaio: «Le voci su LIGO da me precedentemente diffuse sono state confermate da fonti indipendenti. Stai sintonizzato! Le onde gravitazionali potrebbero essere state effettivamente scoperte. Eccitante!».

Diciamolo subito, Lawrence Krauss ha ragione. Se le onde gravitazionali fossero state davvero scoperte sarebbe un evento scientifico più che mai eccitante. Proprio come la scoperta, nel luglio 2012, del bosone di Higgs al CERN di Ginevra. Si proporrebbe una nuova pietra miliare nella storia della fisica. Per cui, stiamo sintonizzati!

Non per molto. Il rovello sarà sciolto al massimo a fine febbraio, quando il Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory (LIGO) renderà pubbliche le analisi dei dati che ha a disposizione. E ci dirà se Lawrence Krauss ha avuto ragione ad annunciare una scoperta considerata la più attesa dalle riviste scientifiche Nature e Science per il 2016 o se, invece, ha preso un granchio che gli costerà la reputazione. In ogni caso l’effetto sarà clamoroso.

Le onde gravitazionali sono increspature dello spaziotempo – piccole onde, appunto, in un mare altrimenti pressoché piatto – prodotte in maniera significativa dallo scontro tra grandi masse, come quelle di due stelle a neutroni o, ancor più, come quelle dei due buchi neri coinvolti,  si dice,  nel caso in oggetto.

L’esistenza delle onde gravitazionali è stata annunciata da Albert Einstein all’indomani della pubblicazione, nel maggio 1916, della relatività generale che, per l’appunto, spiega come e perché la massa curva lo spaziotempo. Eppure queste onde, previste dalla teoria, dopo decenni di ricerche non sono state ancora rilevate. Ora siamo a un punto di svolta. O saranno  rilevate o …

Ma partiamo dall’inizio, perché la storia è avvincente. E la dice lunga su come funziona effettivamente la scienza. Partiamo da quando la ricerca, negli anni 60 del secolo scorso, è davvero iniziata. Un ruolo di primo piano lo ha avuto l’italiano Edoardo Amaldi, il “ragazzo di via Panisperna” che, subito dopo la guerra, si è preso l’onore di rilanciare la fisica nel nostro paese distrutta dalle leggi razziali fasciste e dalla partecipazione al secondo conflitto mondiale.

Amaldi pensava che la comunità dei fisici italiani dovesse contribuire in maniera importante alle ricerche del Cern di Ginevra, il più grande laboratorio di fisica al mondo voluto dallo stesso Amaldi per restituire all’Europa la leadership in materia, ma che dovesse impegnarsi in maniera autonoma su ricerche meno impegnative sul piano economico ma altrettanto di punta sul piano scientifico. Una di queste poteva essere la ricerca delle onde gravitazionali di Einstein mediante delle apposite antenne, tecnologicamente avanzate ma non molto costose.

 Alla fine degli anni 60 Amaldi, per verificare cosa fare, allestì un gruppo di ricerca con Guido Pizzella. Ebbene il 3 settembre 1970, Amaldi e Pizzella decisero di avviare definitivamente l’impresa. Detto, fatto. Ma non ebbero senza successo. O, almeno, non ebbero un successo definitivo. Perché il 23 febbraio 1987 l’antenna criogenica – la tecnologia realizzata da Amaldi e Pizzella – captò un segnale in occasione dell’esplosione di una grande stella, la Supernova 1987A, in buona sintonia con la rilevazione, sul Monte Bianco in Italia e al rilevatore di Kamiokande in Giappone, dei neutrini emessi nel corso dell’immane cataclisma. Dopo quell’evento, il gruppo di Amaldi e Pizzella ha trovato altri segnali compatibili con le onde gravitazionali. Purtroppo la serie di rilevazioni non è considerata definitiva dalla comunità dei fisici, anche se il ruolo degli italiani è riconosciuto, visto che le riunioni degli scienziati di tutto il mondo che si occupano dell’argomento  che si tengono ogni due anni vengono chiamate Edoardo Amaldi International Conferences on Gravitational Waves.

Negli ultimi anni  è cambiata la tecnologia della ricerca. Si sono messi a punto nuovi e grandi rivelatori, gli interferometri: fasci di luce laser sparati tra specchi a chilometri di distanza e che possono subire, appunto, un’interferenza tipica a causa di eventuali increspature dello spaziotempo. I principali interferometri sono due. Uno è l’americano LIGO, costituito da due grandi interferometri con braccia di 4 chilometri.  L’altro è l’italo/francese Virgo, realizzato nei pressi di Cascina in Toscana. I due esperimenti collaborano strettamente tra loro. Tanto che si può parlare di un unico grande esperimento LIGO/Virgo. Lawrence Krauss si è un po’ dimenticato della parte europea dell’impresa.  

Quelle gravitazionali, come tutte le onde, sono caratterizzate da una certa frequenza. La frequenza prevista delle onde gravitazionali è quella delle onde radio. Ci si attende, dunque, per la gioia di Pitagora, di Keplero e di tutti i teorici della “musica cosmica” di sentire un chip. Ogni fenomeno gravitazionale dovrebbe “cantare” in modo diverso. E il vantaggio degli interferometri è che possono, in teoria, captare un chip dei più svariati fenomeni cosmici. È possibile, per esempio, seguire i segnali di due buchi neri massicci che si avvicinano disegnando traiettorie a spirale ed emettendo cinguettii a frequenza crescente prima del titanico impatto finale. Dovrebbe essere questo il caso di cui ha cinguettato, è il caso di dirlo, Krauss.

I fisici di LIGO (e di Virgo), decisamente seccati dai tweet del fisico teorico che nulla ha a che fare con l’esperimento, al momento non parlano. Dicono di attendere al massimo la fine di febbraio per un rapporto sull’analisi degli ultimi dati. Ed è questo che conviene fare anche a noi per capire: a) se il chip davvero c’è stato; b) se la fonte del cinguettio è davvero cosmica.

La prudenza è d’obbligo. Il chip sentito potrebbe trattarsi di un mero errore. Come ammonisce il fatto, avvenuto il 17 marzo 2014, che l’esperimento Bicep2 condotto in Antartide da ricercatori della Harvard University aveva rilevato il “chip” dell’”inflazione cosmica”, il più catastrofico degli eventi avvenuto pochissimi istanti dopo la nascita dell’universo. Il segnale era un falso allarme.

La prudenza è d’obbligo, però, anche se LIGO/Virgo  avesse davvero sentito un chip. Potrebbe, intatti trattarsi non di un errore ma di un sapiente artefatto. Prodotto apposta dagli stessi fisici (un piccolo gruppo che opera all’insaputa dei colleghi) che con una blind injection hanno generato un Big Dog, un grande cane. In pratica: l’immissione nel sistema di un flusso di dati che simulano in maniera molto realistica le onde gravitazionali. Non sarebbe una novità. Nel 2010, per esempio, LIGO e Virgo captarono un chip che dovrebbe essere tipico di un incontro tra una stella di neutroni e un buco nero nella costellazione del Big Dog. Era, invece, una blind injection: una simulazione. La stessa cosa era avvenuta nel 2077.

Questi stress test sono ben fatti e vengono rivelati solo dopo tre mesi, per verificare come funzione il sistema. Così funziona la scienza: anche con inganni programmati per mettersi al riparo da errori reali. Siamo anche in questo caso in presenza di un Big Dog? Krauss sostiene di no, perché questa volta il chip sarebbe avvenuto durante una fase cosiddetta ingegneristica, quando la funzionalità dell’interferometro viene  verificata e non si producono blind injection.

Ma la verità è che bisogna saperne di più, da ogni punto di vista. Per questo, lo scorso 3 dicembre, è stato lanciato un satellite artificiale nello spazio, il LISA Pathfinder, con un esperimento, chiamato LISA, molto più sensibile di quelli basati a terra. Con LIGO/Virgo, LISA chiuderà presumibilmente la partita. Se sentirà i chip avremo finalmente conferma che Albert Einstein aveva, ancora una volta ragione. Ma se non sentirà nulla, i fisici saranno ancora più eccitati: perché avranno la dimostrazione che il tedesco aveva torto e che bisogna andare “oltre la relatività generale”.