Per non rafforzare l’argomento preferito contro la legge sulle unioni civili, anche la sinistra - quando non direttamente proibizionista - fa finta che l’utero in affitto, con la stepchild, non c’entri nulla. Sbagliando

Matteo Renzi per la legge sulle unioni civili si è speso, bisogna dirlo. E ha difeso anche l’articolo cinque, la norma che estende la stepchild adoption alle coppie omosessuali. Ha difeso, il premier, l’adozione del figlio del partner, o meglio – come propone il presidente dell’Accademia della Crusca Francesco Sabatini – «l’adozione del configlio» già possibile in Italia per le coppie eterosessuali, discriminazione tra le discriminazioni. L’ha difesa dagli attacchi dei centristi della sua maggioranza e dalla furia cattodem dei suoi colleghi di partito. Ha però chiarito, Renzi, in una delle occasioni in cui ha difeso la legge Cirinnà, al voto in Senato, che lui è favorevole alla stepchild adoption sì ma contrario, molto contrario, alla gestazione per altri, chiamata appositamente «utero in affitto», detto con la stessa intenzione con cui lo dice chi condanna la pratica, nel fronte trasversale che va dalla piazza del Family Day a una buona fetta del femminismo, italiano e internazionale.
In una sua recente enews Renzi si è detto contento tanto del fatto «che la stragrande maggioranza degli italiani» voglia «un istituto che legittimi le Unioni Civili anche per persone dello stesso sesso», ed è però altrettanto contento, Renzi, del fatto che, sempre «la stragrande maggioranza degli italiani», condanni «con forza pratiche come l’utero in affitto che rendono una donna oggetto di mercimonio». «Pensare che si possa comprare o vendere considerando la maternità o la paternità un diritto da soddisfare pagando mi sembra ingiusto», dice Renzi, «in Italia tutto ciò è vietato, ma altrove è consentito: rilanciare questa sfida culturale è una battaglia politica che non solo le donne hanno il dovere di fare».
È dunque incurante a ogni contraddizione, il premier. Incurante di quanto nota, con brutale lucidità, la filosofa e saggista Chiara Lalli (tra i suoi testi segnaliamo per l’occasione Buoni genitori, storie di mamme e papà gay, pubblicato dal Saggiatore nel 2009 ma evidentemente ancora attuale). Scrive Lalli su facebook: «Come pensate che i vostri tanti amici gay possano avere figli, rubandoli agli zingari?». E si accende così il riflettore su tema che, da Monica Cirinnà in giù, tutti i sostenitori della legge sulle unioni hanno cercato di evitare, perché scivoloso, «perché» – dicevano a noi cronisti in cerca di chiarimenti – «è proprio quello che vogliono Adinolfi&co»: che il dibattito sull’adozione del configlio si sovrapponga a quello sulla maternità surrogata, cosa sbagliata («perché l’obiettivo della legge è la tutela del bambino e non ci si deve chiedere come quel bambino sia stato concepito», dice a Left la senatrice Monica Cirinnà), ma solo in parte. «Come pensate che i vostri tanti amici gay possano avere i figli, rubandoli agli zingari?». No, giusto? Ecco. Infatti il non detto lo si è dovuto pronunciare, alla fine, e lo stesso governo – che sulle unioni civili si è riscoperto parlamentarista, senza voti di fiducia e pronto a maggioranze variabili – ha dovuto prendere posizione. Lo ha fatto Renzi, come visto, ma lo ha fatto anche, ad esempio, Gennaro Migliore, fresco fresco di nomina a sottosegretario alla Giustizia: «Non dimentichiamo che l’utero in affitto», dice, «è già regolamentato in Italia, dalla legge 40. È vietato. Se vogliamo trovare un modo per rafforzare questo divieto facciamolo, ma non all’interno della legge Cirinnà», che è «già frutto di una lunga mediazione» e soprattutto «riguarda i bambini».


 

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Sono nato a Roma, il 23 febbraio 1988. Vorrei vivere in Umbria, ma temo dovrò attendere la pensione. Nell'attesa mi sposto in bicicletta e indosso prevalentemente cravatte cucite da me. Per lavoro scrivo, soprattutto di politica (all'inizio inizio per il Riformista e gli Altri, poi per Pubblico, infine per l'Espresso e per Left) e quando capita di cultura. Ho anche fatto un po' di radio e di televisione. Per Castelvecchi ho scritto un libro, con il collega Matteo Marchetti, su Enrico Letta, lo zio Gianni e le larghe intese (anzi, "Le potenti intese", come avevamo azzardato nel titolo): per questo lavoro non siamo mai stati pagati, nonostante il contratto dicesse il contrario.