Giovanna Ceribelli è il revisore dei conti dal cui esposto è nata l'ultima inchiesta lombarda, ci abbiamo parlato. Che pare proprio non esser cambiata dai tempi di Formigoni: efficace, sì, ma anche corrotta e potente

Forse è la legge del contrappasso: dopo anni in cui Maroni è riuscito a proiettare un’immagine di incorruttibile nemico di mafie e corruzione (ha vestito i panni del ministro dell’Interno con la calzamaglia del quasi supereroe e ha agitato le scope in casa della Lega) alla fine si ritrova, da presidente della Lombardia, a fare la conta degli arresti. Il primo è stato il suo vicepresidente Mario Mantovani e la Lega ha avuto gioco facile nello scaricare tutte le responsabilità sugli alleati di Forza Italia, ma negli ultimi giorni lo scossone è tutto in salsa verde: Fabio Rizzi è il “padre” della riforma sanitaria in Lombardia, quella “rivoluzione leghista” che avrebbe dovuto portare la Regione fuori dalle acque torbide del formigonismo. E invece niente: Rizzi, il consigliere regionale, è stato arrestato e con lui finiscono in manette anche l’imprenditrice Maria Paola Canegrati, attiva nel campo dell’odontoiatria privata, nonché la moglie di Rizzi, un suo collaboratore e la sua compagna, oltre che una decina di funzionari pubblici ovviamente asserviti. La solita bava, insomma: un servizio pubblico che si piega agli interessi privati ungendo i burocrati con le giuste mazzette. Altro che “cambio di passo”: la sanità lombarda ha lo stesso odore degli ultimi anni solo con un po’ di più di salsa al prezzemolo.
Ma come è cominciato l’incubo di Maroni? Questa volta la denuncia arriva dall’interno, l’esposto da cui è partita l’operazione Smile ha un nome e un cognome: Giovanna Ceribelli.
Ceribelli è una donna di sessantotto anni che viene dal piccolo paese di Caprino, siamo tra le valli bergamasche. Parla con cadenza quasi teutonica, grandi occhiali, il passo sempre spedito e l’immancabile pila di faldoni sotto il braccio. È lei che, da revisore dei conti nel collegio sindacale di un’azienda ospedaliera, ha notato che qualcosa non tornava in quei bilanci e ha deciso di mandare le carte in Procura. «Ho fatto il mio lavoro – mi dice quasi a sminuirsi – magari qualcosa di più delle ore che mi sono state pagate ma nulla di eccezionale. Non immaginavo però che un unico cittadino riuscisse a dare un colpo del genere. E i magistrati e gli investigatori hanno fatto un gran lavoro».
In questi giorni è sulle pagine di tutti i giornali, subissata dalle interviste, lei che con i giornalisti non ha mai amato troppo parlarci. Ma questa volta ha deciso di fare un’eccezione: «Oggi finalmente sono un po’ più tranquilla», mi dice sorridendo stanca, «ed è meglio, altrimenti andavo nel pallone. Sono contenta che si stiano chiarendo molte cose – continua – visto che stava passando il messaggio sbagliato, cioè che Maroni avesse cambiato il passo della sanità lombarda. Bisogna ancora cambiare, invece. E questo è il messaggio che volevo mandare».
Io ho conosciuto Giovanna in Regione Lombardia quando ero consigliere nel gruppo di Sel e – al momento delle nomine per i revisori dei conti…


 

Questo articolo continua sul n. 9 di Left in edicola dal 27 febbraio

 

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