Siamo un Paese talmente povero di spirito che esiste un sindacato per non fare ammazzare i giusti. Roba da film

È una storia che viene la nausea anche solo a raccontarla, anche perché accade con il rumore di fondo di questi quattro scacciagatti che ululano sul cadavere di don Diana mentre presiedono uno dei peggiori governi per il trattamento riservato ai testimoni di giustizia. È anche difficile scriverne perché in fondo quelli che stanno versando melma sulle persone più a rischio di questo benedetto Paese sono gli stessi che poi dovrebbero garantire l’incolumità anche mia. Ma c’è un limite. Ormai superato.

Ignazio Cutrò ha smascherato i suoi estorsori a Bivona. Aveva una bella azienda, buon reddito, bella casa, famiglia agiata e tutti i motivi per continuare a “farsi i cazzi suoi” piuttosto che denunciare la famiglia mafiosa dei Panepinto (Luigi, Marcello e Maurizio tutti in colonna) e sconquassare la tranquillità di una paese che è disposto a servire codardo per un po’ di tranquillità in cambio. Ignazio è anche un cagacazzo: parte dal presupposto che se un cittadino fa il proprio dovere lo Stato non lo deve abbandonare. Beato lui, illuso, che ha commesso la leggerezza di credere ad un’iperbole del genere.

Ha deciso di non cambiare nome, di non nascondersi e di non lasciare la sua città. «Se ne devono andare loro!» ha risposto al Ministero che lo voleva infilare nel calzino bucato di qualche presunto programma di presunta protezione. Ignazio è così: parole semplici, tesi immediate, niente ghirigori. Ci vuole uno Stato con tanta dignità per farsi guardare dritto negli occhi da gente come Cutrò.

E infatti: gli occhi sono bassi e la burocrazia si fa liquame. Cutrò ha dieci giorni per trovare mezzo milione di euro da imboccare alle banche. La sua colpa? Essere fallito mentre cercava di non farsi ammazzare, innanzitutto, e poi credere ad uno Stato che diventa anaffettivo alla prima svirgola amministrativa. Così, siccome il Paese Italia si è “scordato” che la famiglia Cutrò aveva il suo da fare a rispettare i protocolli di sicurezza imposti, il fisco ha continuato a trattarlo come un imprenditore libero e attivo. E nullafacente. Quindi fallito.

Qualche miserabile del Nucleo Centrale di Protezione sottovoce dice che “Cutrò ci sta marciando”, soffiando il venticello della calunnia. Del resto Ignazio, non contento, qualche tempo fa si è messo in testa di mettere in piedi un’associazione che si occupa dei diritti dei testimoni di giustizia. Siamo un Paese talmente povero di spirito che esiste un sindacato per non fare ammazzare i giusti. Roba da film.

Così ora si accavalleranno le interrogazioni parlamentari, le carte bollate e i fax mentre il tassametro della banca continua a macinare interessi come se si trattasse di una gita fuori porta. Tanto hanno appena finito di fingere di piangere i morti di mafia. Giusto ieri. Ora non è che si possono prendere la briga anche dei vivi. O no?

Buon martedì.

Autore, attore, scrittore, politicamente attivo. Racconto storie, sul palcoscenico, su carte e su schermo e cerco di tenere allenato il muscolo della curiosità. Quando alcuni mafiosi mi hanno dato dello “scassaminchia” ho deciso di aggiungerlo alle referenze.