Nello stesso giorno, il femminicidio di Lunghezza e la discussione sulla riforma della legittima difesa. Uno di quei giorni in cui unire i puntini e arrivare alle più giuste conclusioni

Ieri sono accaduti due fatti slegati ma molto più vicini di quel che possa sembrare, uno di quei segnali che arrivano e vanno presi perché sono un messaggio in bottiglia. Pur mancando la bottiglia. Uno di quei giorni in cui la vita ti dà il privilegio di leggere l’introduzione e uno dei capitoli finali per farti un’idea di come leggere il libro del domani.

È successo ieri che alla Camera si è discusso della legge sulla “legittima difesa”. In breve, la politica ha pensato che fosse il caso di determinare con piglio e giudizio cosa è lecito e cosa non lo è in un Paese che per legittima difesa ogni tanto sembra essere pronto a bruciare gli altri, basta che non siano dei nostri. Perché l’Italia, soffocata dal razzismo e dalla paura, sta sviluppando un nuovo patetico modello di solidarietà applicabile solo a quelli che riteniamo degni di essere nostri sodali per razza o per pensiero: e la solidarietà tra sodali è il seme marcio di una comunità mafiosa, massonica, chiusa, frigida e sterile. Si è alzato un gran polverone ieri quando il mancato accordo ha costretto la Camera a rinviare il testo in commissione. Chi si è arrabbiato? NCD e ovviamente la Lega che, abituata a drenare voti nella psicotica comunità degli aspiranti pistoleri, non ha trovato niente di meglio che esporre una maglietta che diceva “la difesa è sempre legittima”. Un aforisma da bacio perugina che preso alla lettera dovrebbe sdoganare il diritto di spedire Salvini in Libia a bordo di un barcone. Una cosa così. “La difesa è sempre legittima” è una frase che potrebbe fare il paio con “le donne sono tutte sceme”, “gli uomini hanno sempre ragione” oppure “i dipendenti pubblici sono tutti stronzi”: un integralismo che spaventa anche senza avere bisogno del velo.

Proprio ieri, giusto ieri, nella periferia romana, zona Lunghezza, un uomo ha deciso di sparare quattro colpi alla moglie in un bar della zona. Quattro colpi ben assestati se è vero che la donna è morta praticamente quasi subito. Lui, l’eroe con la pistola in mano, ha tentato di scappare prendendo un bus: un fuggitivo da fumetto. Salire su un bus a Roma significa arrivare consapevolmente dopo il pedibus della casa di riposo. E sembra che l’autista, tra l’altro, non l’abbia nemmeno fatto salire: se fosse una barzelletta sarebbe da scompisciarsi dal ridere, peccato che c’è il morto. Il distinto signore, tra l’altro, compare in un’intervista della trasmissione Piazza Pulita (nomen omen) di La7 in cui dichiarava di essere pronto a qualsiasi cosa pur di proteggere la propria famiglia “dagli stranieri” e, mentre recitava cotanta fesseria, mostrava fiero i tatuaggi inneggianti al fascismo. E di sicuro quell’intervista avrà scaldato il cuore di molti di quelli che vorrebbero una legittima difesa che sia un diritto “allo sparo libero” se non fosse che per i vigliacchi dal grilletto facile si diventa stranieri anche al primo disaccordo: una malata e feticcia idea di razza che finisce per comprendere solo se stessi rinsecchiti in una buia solitudine.

Così ieri i vigliacchetti dal grilletto facile, questa nuova schiera di codardi coraggiosi capaci di esser forti solo con i fragili, hanno avuto la doppia smerdata in un giorno solo: i rappresentanti in Parlamento a piantare la solita gazzarra per lucrare un pugno di voti e uno di loro che ha deciso all’improvviso che la moglie fosse “rom” perché non d’accordo con lui. Un gran giorno, certo, uno di quei giorni in cui unire i puntini e arrivare alle più giuste conclusioni.

Buon venerdì.