Ci sono paludi che ci vuole cuore, temerarietà e uno stomaco forte per andare a raccontarle. Ci sono delitti che zittiscono anche i professionisti dell'opinione su tutto per tutti a tutti i costi e così succede che sulla morte di Fortuna, la bambina volata dal balcone per non essersi fatta assaggiare dall'orco, si alza un velo di polvere spessa, di silenzio che sa di smarrito e di disgusto quasi alimentare. Povera Fortuna, dicono tutti, con il gioco feroce delle parole accoppiate dal destino. Poi c'è la scintilla della vendetta che vorrebbe berne il sangue, quelli che castrerebbero, quelli che condannerebbero a morte, quelli che nessuna pietà e così i due eserciti, gli schizzinosi silenziosi e i vendicatori, reagiscono tenendo comunque le distanze dall'orrore. Perché, in fondo, ci viene così comodo pensare e convincerci che Fortuna sia quella storia rinchiusa nel quartiere così calzante per essere la scenografia dell'omicidio: non so se avete notato che ci sono drammi a cui riusciamo a partecipare con il perfetto cordoglio dell'alieno come una volta si usava per i mafiosi che si ammazzano tra loro, come per le donne picchiate che sono sempre mogli degli altri e come la guerra che è diventata una spezia straniera. Mentre tutti scrivono di Fortuna e dell'orco, mi viene da chiedermi, questa mattina di lunedì mattina, cosa fanno oggi gli altri bambini. Gli altri bambini che abitano lì dove gli orchi sono il risultato naturale della desolazione, dell'abbandono, dell'animalità e delle regole che banalmente non riescono ad essere nemmeno un centimetro più alte dei bisogni. Mi domando, forse sbaglio, se davvero basti la contrizione generale per un paio di giorni. E poi nient'altro. Più osceno di quell'uomo che si sdraiava sulle bambine è il silenzio pervertito tutto intorno di chi tacendo rende potabile l'orrore: in Italia esistono madri che contano i soldi dei propri figli a dondolo, in Italia esistono luoghi (lo racconta Luca Mattiucci per il Corriere) in cui i preti durante la messa chiedono ai genitori "di smetterla di abusare i vostri figli": siamo un Paese in cui ci sono nonne poco più che ventenni. Il Consiglio d'Europa dice che un bambino su cinque è vittima di vare forme di abuso o di violenza sessuale (la campagna è qui). Uno su cinque. Tanto per avere idee di quante Fortuna ci sono sparse in giro. Il "patto con il Sud" migliore che si possa firmare, subito, anche per il Centro e per il Nord, è decidere di aprire il naso e mettere le mani dentro fino in fondo a quel gorgo che disegna zone e quartieri che diventano isole senza legge, senza speranza e senza nemmeno un alito di riscatto possibile. Piuttosto che le commemorazioni funebri forse adesso sarebbe il tempo, politica in testa, che ci sforzassimo di capire com'è successo che una bambina vada ad abitare in un condominio che è lo stomaco degli orchi. Sarebbe il caso di ascoltare qualcuno che si prenda la responsabilità di darci una chiave di lettura del degrado collettivo, al di là delle lacrime per l'occasione. La sensazione, qui fuori, è che mentre siamo ancora dilettanti nel capirli, loro, gli orchi, ormai si siano già digeriti i bambini. E che la politica abbia deciso (ancora) che questa storia fa troppo schifo per avvicinarsi ad analizzarla. Buon lunedì.

Ci sono paludi che ci vuole cuore, temerarietà e uno stomaco forte per andare a raccontarle. Ci sono delitti che zittiscono anche i professionisti dell’opinione su tutto per tutti a tutti i costi e così succede che sulla morte di Fortuna, la bambina volata dal balcone per non essersi fatta assaggiare dall’orco, si alza un velo di polvere spessa, di silenzio che sa di smarrito e di disgusto quasi alimentare. Povera Fortuna, dicono tutti, con il gioco feroce delle parole accoppiate dal destino.

Poi c’è la scintilla della vendetta che vorrebbe berne il sangue, quelli che castrerebbero, quelli che condannerebbero a morte, quelli che nessuna pietà e così i due eserciti, gli schizzinosi silenziosi e i vendicatori, reagiscono tenendo comunque le distanze dall’orrore. Perché, in fondo, ci viene così comodo pensare e convincerci che Fortuna sia quella storia rinchiusa nel quartiere così calzante per essere la scenografia dell’omicidio: non so se avete notato che ci sono drammi a cui riusciamo a partecipare con il perfetto cordoglio dell’alieno come una volta si usava per i mafiosi che si ammazzano tra loro, come per le donne picchiate che sono sempre mogli degli altri e come la guerra che è diventata una spezia straniera.

Mentre tutti scrivono di Fortuna e dell’orco, mi viene da chiedermi, questa mattina di lunedì mattina, cosa fanno oggi gli altri bambini. Gli altri bambini che abitano lì dove gli orchi sono il risultato naturale della desolazione, dell’abbandono, dell’animalità e delle regole che banalmente non riescono ad essere nemmeno un centimetro più alte dei bisogni. Mi domando, forse sbaglio, se davvero basti la contrizione generale per un paio di giorni. E poi nient’altro.

Più osceno di quell’uomo che si sdraiava sulle bambine è il silenzio pervertito tutto intorno di chi tacendo rende potabile l’orrore: in Italia esistono madri che contano i soldi dei propri figli a dondolo, in Italia esistono luoghi (lo racconta Luca Mattiucci per il Corriere) in cui i preti durante la messa chiedono ai genitori “di smetterla di abusare i vostri figli”: siamo un Paese in cui ci sono nonne poco più che ventenni.

Il Consiglio d’Europa dice che un bambino su cinque è vittima di vare forme di abuso o di violenza sessuale (la campagna è qui). Uno su cinque. Tanto per avere idee di quante Fortuna ci sono sparse in giro. Il “patto con il Sud” migliore che si possa firmare, subito, anche per il Centro e per il Nord, è decidere di aprire il naso e mettere le mani dentro fino in fondo a quel gorgo che disegna zone e quartieri che diventano isole senza legge, senza speranza e senza nemmeno un alito di riscatto possibile. Piuttosto che le commemorazioni funebri forse adesso sarebbe il tempo, politica in testa, che ci sforzassimo di capire com’è successo che una bambina vada ad abitare in un condominio che è lo stomaco degli orchi. Sarebbe il caso di ascoltare qualcuno che si prenda la responsabilità di darci una chiave di lettura del degrado collettivo, al di là delle lacrime per l’occasione.

La sensazione, qui fuori, è che mentre siamo ancora dilettanti nel capirli, loro, gli orchi, ormai si siano già digeriti i bambini. E che la politica abbia deciso (ancora) che questa storia fa troppo schifo per avvicinarsi ad analizzarla.

Buon lunedì.