Ecco il Piano nazionale per la ricerca spiegato dal ministro Giannini durante la conferenza stampa di oggi. La novità sono 500 milioni. Non è un grande salto in avanti, ma più prosaicamente un freno ai tagli degli ultimi anni

Dall’annuncio alla realtà. Il primo maggio, con la riunione “simbolica” del Cipe in un giorno particolare come la festa del lavoro Matteo Renzi aveva annunciato 2,5 miliardi per la ricerca (più uno per la cultura). Oggi, più prosaicamente il ministro Giannini durante la conferenza stampa di presentazione del Pnr (Piano nazionale della ricerca) 2015-2020 ha spiegato che in realtà, la novità sono i 500 milioni del Fondo di sviluppo e coesione (Fsc) che il Cipe ha assegnato alla ricerca. Mario Calderini, consigliere del ministro, aveva precisato poco prima a Tutta la città ne parla su Radio Rai 3 che non era affatto scontato che quella somma andasse alla ricerca. Insomma, dai 2 miliardi e mezzo annunciati con la grancassa si passa al 25 % in più con i famosi 500 milioni. «Basta? Forse no, ma è un primo passo», ha detto Stefania Giannini. Naturalmente la responsabile del Miur – al quale spetta il compito di gestire la strategia generale della scelta delle aree e della ripartizione dei fondi in collaborazione con gli altri ministeri interessati – non ha accennato a quanto invece scienziati e docenti universitari avevano fatto notare subito alla notizia dei 2,5 miliardi. Per esempio Giorgio Parisi, fisico e scienziato di livello internazionale, nonché promotore di una fortunata petizione su Change.org “Salviamo la ricerca italiana”, ha subito postato il 1 maggio su Facebook: «I mitici 2.500 milioni sono il finanziamento del Piano nazionale della ricerca, che bisogna fare ogni tre anni. Il Piano precedente era di 2.700 milioni. Abbiamo quindi un TAGLIO di 200 milioni senza contare l’inflazione». Anche Calderini ha dovuto ammettere che l’intervento finanziario del Pnr è solo «un freno» alla tendenza degli ultimi anni che hanno visto penalizzati gli investimenti pubblici nel settore Ricerca & Sviluppo (1,31 del Pil, rispetto alla media Ue del 2,01%.

Il Pnr annunciato da Renzi in realtà era quello 2014-2020 scritto dal ministro Carrozza durante il governo Letta. Era il gennaio 2014, dopo un mese il premier Letta sarebbe stato “sostituito” dal segretario Pd. E

addio Pnr. Per circa due anni è rimasto nel cassetto. Solo a luglio arriva la notizia che una bozza di Pnr approda al Consiglio dei ministri.
Per avere l’approvazione del Cipe con la copertura finanziaria delle varie voci si sono dovuti attendere ancora molti mesi. In sostanza dei 2 miliardi e 428 milioni, 1,9 miliardi di euro sono carico del bilancio del Miur e del Pon ricerca e i 500 milioni di euro arrivano dal Fsc 2014-2020. Quindi in sostanza erano già stati stanziati.
Ma ecco il Pnr spiegato dal ministro Giannini la quale oggi era affiancata da uomini chiave, per l’attuazione del Pnr. Ovvero, Massimo Inguscio, presidente del Cnr a rappresentare gli enti pubblici di ricerca, il rettore Gaetano Manfredi, presidente della Crui, la conferenza dei rettori, in rappresentanza degli atenei italiani oltre a Massimo Gay, a testimoniare il rapporto con Confindustria.
«Mai più interventi a pioggia o microfinanziamenti», ha esordito Giannini. Sono 12 le aree specializzate del Pnr, il ministro ha posto l’accento soprattutto su 4 di queste: Spazio, Agrifood, Salute e Industria 4.0. «Sono sei le azioni prioritarie – ha aggiunto – in ordine decrescente per quanto riguarda la ripartizione di fondi».

Ecco i “sei pilastri”.

Il capitale umano: un miliardo e 20 milioni per il personale, il dottorato di ricerca «considerato anche come il terzo livello della formazione superiore, collegandolo sempre più al mondo del lavoro», ha detto Giannini. In pratica si tratta di 6mila nuovi posti tra dottorati di ricercatori nei prossimi sei anni, 2700 subito nel primo triennio.

Internazionalizzazione della ricerca: per cui si tratta di creare le condizioni affinché i vincitori per esempio dei prestigiosi Erc (European Researc Council) che spesso sono italiani possano scegliere di portare avanti i propri progetti in Italia senza rimanere all’estero. A questo proposito vale la pena ricordare la polemica a distanza tra il ministro e una linguista italiana vincitrice di un Erc in Olanda.Insieme ad altri interventi sulla squadra della ricerca e le carrieri individuali questo settore prevede 150 milioni.

Infrastrutture della ricerca: «l’architettura del sistema», secondo il ministro: 340 milioni.

Cooperazione tra pubblico e privato: Qui entrano in gioco le imprese. «C’è sempre stata in Italia una timidezza del privato a investire in ricerca», ha detto Giannini, accennando a 500 milioni in cui dovrebbero esserci anche «incentivazioni per quelle aziende che fanno innocìvazione». Marco Gay ha parlato della necessità di collegamenti «tra l’economia reale, la ricerca e i dottorati», con uno stretto rapporto tra dottorati e imprese. «L’impresa è l’unico settore che crea sviluppo», ha detto il rappresentante di Confindustria, accennando anche all’attivazione del made in Italy. Rimane da capire come si orienteranno i dottorati industriali e quale rapporto ci sarà tra ricerca di base e ricerca applicata, tra innovazione e produzione, ma soprattutto quali settori della produzione saranno privilegiati.

Un quinto “pilastro” è dato dagli investimenti per il Sud (450 milioni) e infine l’ultimo tema, «una briciola nel ricco vassoio», l’ha definito il ministro. Si tratta della Quality spending, cioè un piano di controllo, rendicontazione della ricerca anche per l’assegnazione dei fondi (32-35 milioni).
Infine i tempi, l’execution”. «Entro l’estate ci saranno i bandi per i dottorati di ricerca e i ricercatori, mentre per le infrastrutture i bandi usciranno dopo l’estate dopo un raccordo nella Confereza Stato-Regioni».
«Il tempo è cruciale», ha fatto notare Gaetano Manfredi, che oltre a essere presidente della Conferenza dei rettori universitari è anche rettore della Federico II di Napoli. ««Noi abbiamo un sistema di regole a volte eccessivamente bizantino, per questo dobbiamo spingere per rendere tutto più semplice. Meglio un ricercatore che lavora in un laboratorio che un ricercatore che riempie dei moduli».

Una laurea in Filosofia (indirizzo psico-pedagogico) a Siena e tanta gavetta nei quotidiani locali tra Toscana ed Emilia Romagna. A Rimini nel 1994 ho fondato insieme ad altri giovani colleghi un quotidiano in coooperativa, il Corriere Romagna che esiste ancora. E poi anni di corsi di scrittura giornalistica nelle scuole per la Provincia di Firenze (fino all'arrivo di Renzi…). A Left, che ho amato fin dall'inizio, ci sono dal 2009. Mi occupo di: scuola, welfare, diritti, ma anche di cultura.