È poco, è niente, è meglio di niente? Il parlamento ha approvato la legge sulle unioni civili. Diciamo finalmente. Ma siamo sicuri che non si potesse fare di meglio?

Sono abbastanza petulanti le discussioni in cui si litiga del meno peggio, del meglio che niente o del si poteva fare di più. Richiedono un grado di attenzione ormai in disuso, quello sopito dalle televendite a forma di fiction e dalla politica emotiva: l’entusiasmo tutto in superficie è l’ultimo prodotto di una stagione politica e culturale che vive solo di nervi, senza nemmeno il bisogno di un briciolo di cuore e di cervello.

Così succede che la stessa legge “schifosa” in Senato diventi una polluzione alla Camera di cui non si potrebbe dire alcunché. Eppure lo stesso Scalfarotto il 23 dicembre 2015, pochi mesi fa anche se la superficialità ha trasformato le settimane in ere, scrisse qualcosa del genere:

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Oppure basta riprendere il Corriere della Sera dell’8 febbraio di quest’anno per leggerci:

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Questo significa che la nuova legge sulle unioni civili sia da buttare? No, per niente. Anzi probabilmente è il migliore risultato in questo miserabile contesto politico in cui ci si ritrova a trattare con Verdini e Alfano. Però, però, però l’habitat politico in cui si è consumato questo mezzo passo in avanti ha dei responsabili e l’arroccamento delle opposizioni e le brutte compagnie sono il risultato di una modalità politica che ha portato il Pd a elemosinare il voto di qualche improbabile compagno di viaggio. E forse è proprio questo che si chiede ai democratici: il senso della misura. Solo questo. L’intestarsi un significativo passaggio che però non basta. E se è il massimo possibile significa che è possibile troppo poco.

E allora non si può che partecipare alla felicità di chi non è mai esistito e ora finalmente esiste. Ma non ci vorrà troppo tempo perché ritorni la sensazione che dei diritti siano stati offerti come regalie da un potere che non è stato all’altezza. Credo.

Buon giovedì.