La barca è una nave mercantile, sulla fiancata porta il nome AHTS Vos Thalassa scritto con vernice bianca. Tutto in maiuscolo. Il suo lavoro è pattugliare in acque libiche lo spazio tra due piattaforme petrolifere: un avanti e indietro tra salsedine, ferro e caldo. Finché il 26 maggio alle 8 e 35 del mattino il comandante Cosimo de Candia (sì, italiano) riceve una telefonata dalla centrale operativa di Roma: ci sono due imbarcazioni piene di migranti da soccorrere. Non bisogna avere troppa fantasia per immaginare il battito del cuore di una nave chiamata a ripescare persone in mezzo al mare, gli undici uomini dell'equipaggio abbandonano la rotta consueta per raggiungere i bisognosi. Sì, bisognosi. Perché sarebbe bello ricominciare a dirle e scriverle, certe parole. Alle tre del pomeriggio, come racconta Cosimo, ritrovano le carrette del mare con sopra la paura a forma di persone. Alcune sono state già salvate da un piccolo rimorchiatore che porta il nome di Ringhio, come nella drammaturgia perfetta di un'epopea. Ma qui senza luci, pellicola ed effetti speciali. Fame vera. Paura stanca. Altro che i film. Racconta l'equipaggio della AHTS Vos Thalassa che appena si sono affiancati a quel rimasuglio di barche hanno cominciato ad uscire persone come formiche, fuori da ogni angolo in cui ci si rintana per avere almeno il sollievo di credersi al sicuro e non vedere. Centinaia di persone. Alla fine del carico sono 650 persone e le 11 di equipaggio. La barca che diventa piazza dei popoli. In mezzo al mare. Dice il comandante che la cucina e la distribuzione di coperte e medicinali hanno lavorato a pieno ritmo giorno e notte. Il bisogno del resto è così: non ha turni e solo nei casi migliori riesce ad avere almeno una fine. Durante il viaggio verso il porto di Catania si caricano anche i recuperati dalla petroliera Minerva Zen e i salvati ora sono 900. 40 ore di viaggio di 11 uomini che salvano 900 persone. «Ballavano dalla felicità, alla vista del porto» raccontano. E i numeri, quegli stessi numeri che la politica maneggia come reliquie per cercare di affermarsi, lì sul mercantile diventano moltiplicazione di salvezza. Senza bisogno di comizi, studi, consulenti, assemblee o trattative. Se nel cuore di undici persone ci stanno novecento salvati, viene chiedersi davvero cosa sarebbe possibile. Nei giorni dell'omissione di soccorso c'è anche l'emozione. Del soccorso. Per fortuna. Restiamo umani. Buon mercoledì.

La barca è una nave mercantile, sulla fiancata porta il nome AHTS Vos Thalassa scritto con vernice bianca. Tutto in maiuscolo. Il suo lavoro è pattugliare in acque libiche lo spazio tra due piattaforme petrolifere: un avanti e indietro tra salsedine, ferro e caldo.

Finché il 26 maggio alle 8 e 35 del mattino il comandante Cosimo de Candia (sì, italiano) riceve una telefonata dalla centrale operativa di Roma: ci sono due imbarcazioni piene di migranti da soccorrere. Non bisogna avere troppa fantasia per immaginare il battito del cuore di una nave chiamata a ripescare persone in mezzo al mare, gli undici uomini dell’equipaggio abbandonano la rotta consueta per raggiungere i bisognosi. Sì, bisognosi. Perché sarebbe bello ricominciare a dirle e scriverle, certe parole.

Alle tre del pomeriggio, come racconta Cosimo, ritrovano le carrette del mare con sopra la paura a forma di persone. Alcune sono state già salvate da un piccolo rimorchiatore che porta il nome di Ringhio, come nella drammaturgia perfetta di un’epopea. Ma qui senza luci, pellicola ed effetti speciali. Fame vera. Paura stanca. Altro che i film.

Racconta l’equipaggio della AHTS Vos Thalassa che appena si sono affiancati a quel rimasuglio di barche hanno cominciato ad uscire persone come formiche, fuori da ogni angolo in cui ci si rintana per avere almeno il sollievo di credersi al sicuro e non vedere. Centinaia di persone. Alla fine del carico sono 650 persone e le 11 di equipaggio. La barca che diventa piazza dei popoli. In mezzo al mare.

Dice il comandante che la cucina e la distribuzione di coperte e medicinali hanno lavorato a pieno ritmo giorno e notte. Il bisogno del resto è così: non ha turni e solo nei casi migliori riesce ad avere almeno una fine. Durante il viaggio verso il porto di Catania si caricano anche i recuperati dalla petroliera Minerva Zen e i salvati ora sono 900.

40 ore di viaggio di 11 uomini che salvano 900 persone. «Ballavano dalla felicità, alla vista del porto» raccontano. E i numeri, quegli stessi numeri che la politica maneggia come reliquie per cercare di affermarsi, lì sul mercantile diventano moltiplicazione di salvezza. Senza bisogno di comizi, studi, consulenti, assemblee o trattative. Se nel cuore di undici persone ci stanno novecento salvati, viene chiedersi davvero cosa sarebbe possibile. Nei giorni dell’omissione di soccorso c’è anche l’emozione. Del soccorso. Per fortuna. Restiamo umani.

Buon mercoledì.