«Lei è qui, ma non era per Brexit?». Il coniglio Juncker non resiste alla tentazione di sfottere Farage quando lo incontra a Bruxelles. «Sono ancora viva», dice la regina mentre stringe la mano del primo ministro nord irlandese Martin McGuinnes. Viva certo, ma con un Regno Unito sempre più disunito. Scozia e Irlanda del Nord non ne vogliono sapere di lasciare l’Europa perché così ha deciso una maggioranza di elettori inglesi e del Galles. Intanto i conservatori di Cameron danno un’interpretazione singolare del Common Law britannico: «Siamo usciti dall’Unione - dicono - ma trattiamo, chiediamo all’Europa ulteriori vantaggi (niente migranti) per restare buoni amici». Fuori, dentro? Che sarà mai! Siamo marinai e mercanti, atlantici ma anche europei. Al Parlamento di Bruxelles manca tuttavia siffatto sense of humor: così vota una mozione per «l’attivazione immediata» del divorzio. «No a trattative segrete» ruggisce il coniglio mannaro Juncker. Incredibile: i “consigli” di Angela Merkel, che chiedeva di lasciare tempo ai britannici e di fargli ponti d’oro, non sono più “ordini” teutonici per i burocrati di Bruxelles. Tutto può accadere, mentre le borse rimbalzano e la sterlina risale. Jeremy Corbyn, che dovrà difendersi da una mozione di sfiducia presentata da due deputate laburiste, avverte di voler restare in campo, pronto a ricandidarsi se lo sfiduciassero. «Meglio colpire i Tory, che dividere il labour», dice un militante, e sarà il tono della sua difesa. Tory a loro volta sotto accusa, come mostra questo titolo sbrigativo del giornale dei mercati, il Financial Times: Brexit: “When? How? Really?” Quando? Come? Davvero? Insomma, avete rotto le uova, ora che frittata farete? In Spagna Rajoy rivendica il suo diritto a governare, avendo ottenuto il 33% dei voti. Ma nessuno vuol coalizzarsi con lui: una cosa è rifiutare il “cambio”, un’altra donarsi al vecchio che ha condotto il Paese verso una ripresa del Pil impastata con la disoccupazione giovanile e le ingiustizie che crescono, oltre che con la corruzione di sempre. Rivera, leader di Ciudadanos, dice che potrebbe trattare con Rajoy ma solo se trattasse anche il leader del Psoe Sanchez, il quale rifiuta per ora persino l’ipotesi di una astensione per consentire all’avversario di formare un governo scongiurando nuove elezioni, le terze in un anno. Con eleganza muliebre la socialista Susanna Diaz gli dà il benservito: «No me gusta hacer leña del árbol caído». L’albero caduto, con il quale non vuol fare legna da ardere, è Sanchez. Che lasci da solo e permetta ai socialisti di astenersi. Podemos, intanto, si interroga sul milione di voti perduti. Probabilmente Iglesias ha preteso troppo e troppo in fretta. Da leader degli indignados a candidato premier, dalla pretesa di non essere né di destra né di sinistra alla coalizione con i comunisti. Ora è fermo alla meta. Per un turno.

«Lei è qui, ma non era per Brexit?». Il coniglio Juncker non resiste alla tentazione di sfottere Farage quando lo incontra a Bruxelles. «Sono ancora viva», dice la regina mentre stringe la mano del primo ministro nord irlandese Martin McGuinnes. Viva certo, ma con un Regno Unito sempre più disunito. Scozia e Irlanda del Nord non ne vogliono sapere di lasciare l’Europa perché così ha deciso una maggioranza di elettori inglesi e del Galles. Intanto i conservatori di Cameron danno un’interpretazione singolare del Common Law britannico: «Siamo usciti dall’Unione – dicono – ma trattiamo, chiediamo all’Europa ulteriori vantaggi (niente migranti) per restare buoni amici». Fuori, dentro? Che sarà mai! Siamo marinai e mercanti, atlantici ma anche europei. Al Parlamento di Bruxelles manca tuttavia siffatto sense of humor: così vota una mozione per «l’attivazione immediata» del divorzio.

«No a trattative segrete» ruggisce il coniglio mannaro Juncker. Incredibile: i “consigli” di Angela Merkel, che chiedeva di lasciare tempo ai britannici e di fargli ponti d’oro, non sono più “ordini” teutonici per i burocrati di Bruxelles. Tutto può accadere, mentre le borse rimbalzano e la sterlina risale.
Jeremy Corbyn, che dovrà difendersi da una mozione di sfiducia presentata da due deputate laburiste, avverte di voler restare in campo, pronto a ricandidarsi se lo sfiduciassero. «Meglio colpire i Tory, che dividere il labour», dice un militante, e sarà il tono della sua difesa. Tory a loro volta sotto accusa, come mostra questo titolo sbrigativo del giornale dei mercati, il Financial Times: Brexit: “When? How? Really?” Quando? Come? Davvero? Insomma, avete rotto le uova, ora che frittata farete?

In Spagna Rajoy rivendica il suo diritto a governare, avendo ottenuto il 33% dei voti. Ma nessuno vuol coalizzarsi con lui: una cosa è rifiutare il “cambio”, un’altra donarsi al vecchio che ha condotto il Paese verso una ripresa del Pil impastata con la disoccupazione giovanile e le ingiustizie che crescono, oltre che con la corruzione di sempre. Rivera, leader di Ciudadanos, dice che potrebbe trattare con Rajoy ma solo se trattasse anche il leader del Psoe Sanchez, il quale rifiuta per ora persino l’ipotesi di una astensione per consentire all’avversario di formare un governo scongiurando nuove elezioni, le terze in un anno.

Con eleganza muliebre la socialista Susanna Diaz gli dà il benservito: «No me gusta hacer leña del árbol caído». L’albero caduto, con il quale non vuol fare legna da ardere, è Sanchez. Che lasci da solo e permetta ai socialisti di astenersi. Podemos, intanto, si interroga sul milione di voti perduti. Probabilmente Iglesias ha preteso troppo e troppo in fretta. Da leader degli indignados a candidato premier, dalla pretesa di non essere né di destra né di sinistra alla coalizione con i comunisti. Ora è fermo alla meta. Per un turno.