A ottobre occorre un No, per dire Sì in primavera. Maurizio Landini, su Left in edicola, lancia la stagione referendaria per ricostruire consenso e cultura. Perché la sconfitta culturale della Sinistra - radical o no - brucia

Era in spiaggia, Maurizio Landini, ma non a Capalbio, quando ha risposto alle domande che avevamo da porgli per la copertina di questa settimana, dedicata come spesso ci accade alla sinistra, parola che anche questa estate temiamo sia stata usata a sproposito, tra la polemica sull’accoglienza nel borgo maremmano, sui timori vacanzieri di Chicco Testa e del principe Caracciolo, e lo sfondone del deputato di Sinistra Italiana, l’onorevole Sannicandro. A sproposito e per puro gusto della polemica, in realtà. «Sei a Capalbio?», scherziamo. «No, non la conosco. Mi dispiace, non ci sono mai stato. Sono a Gabicce mare, non so se siete pratici…», ci risponde a tono e ride, dalle Marche. «Un posto popolare, ci sono molti metalmeccanici e non solo… c’è anche molta gente di colore ma non ci facciamo caso. Non facciamo differenze».

Sorride Landini, seduto sotto l’ombrellone, a chissà quante file dal mare, nelle lunghissime spiagge dell’Adriatico. Ma l’intervista è seria, e presto lasciamo le polemiche al loro posto – le superflue e pigre paginate della stampa agostana. Landini va al sodo: «Penso», vi dice sul numero di Left in edicola da sabato 27, «che in questi anni ci sia stata una regressione culturale molto pesante. E penso che questo sia il problema più grande. Penso anche che bisogna ridare significato alle parole, ai valori e poi alla vita reale delle persone. Per me, quello che fa la differenza è provare sempre a mettersi nei panni degli altri, di chi per vivere ha bisogno di lavorare, oppure di scappare dal Paese in cui non vive più. Bisogna fare questo tentativo, ed è questo che fa la differenza. E mi sembra che sia questo che sfugge molte volte e impedisce poi alle persone di sentirsi rappresentati o di capire se ci sia ancora una differenza tra destra e sinistra».

Perché una differenza c’è, anche se spesso – e ultimamente – non si vede: «Faccio un esempio, che può riguardare un migrante o un giovane precario nella stessa misura: se vieni trattato allo stesso modo sia che il governo sia di destra sia che sia di sinistra, per il giovane che differenza c’è? Se un precario continua ad essere precario sia con un governo di sinistra che di destra, se Renzi dice che la cosa più di sinistra che ha fatto è quella di rendere più facili i licenziamenti, capite che nella percezione di queste persone non c’è differenza tra destra e sinistra. Io ho sempre pensato che la differenza c’è ed è proprio in cosa accade a queste persone. Per me Sinistra è quando se uno ha un problema tu provi a risolverglielo. Per me la Sinistra è un’idea di giustizia sociale, di battaglia contro le disuguaglianze. Quindi non è vero che non c’è più differenza, ma oggi oggettivamente siamo di fronte al fatto che ha avuto la meglio il “pensiero unico” del neoliberismo. Quando pensi che in Europa i governi che stanno facendo le cose peggiori sul lavoro sono governi diretti da partiti che fanno parte dell’Internazionale socialista (per esempio, Italia e Francia), è evidente che siamo di fronte a una sconfitta culturale che brucia. Dovremmo almeno recuperare la capacità di fare un’analisi di quello che sta succedendo, a partire dalla condizione materiale delle persone, e di chi per vivere deve lavorare. E poi occorre ridare un senso alle parole».

Con Landini, Tiziana Barillà e Ilaria Bonaccorsi parlano della Coalizione Sociale (che fine ha fatto? Cosa non ha funzionato?), della riforma dei contratti che ha in testa Renzi, che vuole superare i contratti nazionali dimenticandosi però di attuare la delega sul salario minimo, e del vertice di Ventotene, dove Renzi ha ricevuto un solo complimento da Angela Merkel e l’ha ricevuto per il jobs act, «per aver reso più facili i licenziamenti», come dice Landini, convinto che la via non possa esser quella della svalutazione del lavoro, la competizione sui salari. Perché «quando arrivi ai voucher, quando un lavoratore lo puoi comprare in tabaccheria, siamo davvero alla fine di un processo», dice. E «quindi c’è un lavoro culturale da costruire».

La lunga intervista con Maurizio Landini articolo Left in edicola dal 27 agosto

 

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