«La nostra Costituzione deve essere applicata piuttosto che modificata». Il magistrato più scortato d’Italia, ci spiega i suoi dubbi sul referendum. Tra senatori nominati e un governo che, reso innocuo il Parlamento, rischia ora di influenzare i giudici

Nino Di Matteo difficilmente si sottrae al dibattito. Il magistrato più scortato d’Italia, da tempo impegnato nella procura di Palermo nella lotta alla mafia, è uno di quelli che crede nella responsabilità culturale di chi ha l’occasione di essere ascoltato; e le parole di Di Matteo pesano, sempre. L’abbiamo voluto intervistare sulla riforma costituzionale di Renzi e Boschi e lui, al solito, ha risposto senza mediazione.

Dicono sia vecchia, che vada cambiata, che è da sburocratizzare: ma come sta la nostra Costituzione?
Io sono sempre stato convinto che il vero gran- de problema italiano sia la forbice tra la Costituzione formale e quella materiale. Il vero problema è costituito dal fatto che molti importanti principi costituzionali non hanno mai trovato applicazione. Da una parte c’è la Costituzione scritta e c’è un’Italia che vorrebbe un progetto politico con alti principi di uguaglianza, di solidarietà e di libertà così come scritti nella Costituzione, e dall’altra parte c’è stata invece la trasformazione e l’elusione della Costituzione nella pratica politica, con un’Italia fondata sulla speculazione, sulla ricerca esasperata del potere e della sua conservazione, sul compromesso e sull’accettazione, perfino, di metodi mafiosi e poteri criminali. Io sono convinto che questo sia il vero grande problema. La nostra Costituzione deve essere applicata piuttosto che modificata.

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