«Dobbiamo salvaguardare gli spazi artistici di libertà, cura e passione che sono alla base di ogni serie tv, di ogni documentario o film riusciti, grandi o piccoli che siano. I finanziamenti non vadano a chi mette in piedi operazioni fraudolente, con budget fasulli», dice la presidente di 100autori

Un contratto di categoria, un salario minimo ad hoc, una riforma del tax credit che non tenga conto dei soli criteri economici e più ossigeno per chi, pur non essendo una grande produzione, fa cultura e genera linfa vitale per il settore del cinema e degli audiovisivi: l’associazione 100Autori, audita dalla sottosegretaria al ministero della Cultura Lucia Borgonzoni sulla riforma del tax credit ha fatto il punto di ciò che davvero occorrerebbe cambiare e migliorare per dare maggiore forza ad un comparto che genera migliaia e migliaia di posti di lavoro. Alla fine dell’incontro al ministero è stato fornito un documento unitario firmato anche da Anac e Wgi all’interno del quale le associazioni hanno elencato quelli che, secondo loro, sono infatti i nodi da affrontare e sciogliere. «Sottolineo l’importanza di questa unità di intenti tra associazioni, perché riteniamo sia necessario salvaguardare gli spazi artistici di libertà, cura e passione che sono alla base di ogni serie tv, di ogni documentario o film riusciti, grandi o piccoli che siano. Le risorse devono poter andare a chi lavora, e non a chi mette in piedi operazioni fraudolente, con budget fasulli», ha commentato la presidente dei 100autori Francesca Comencini  (in precedenza Andrea Purgatori era stato presidente dell’associazione). Nel documento le associazioni firmatarie ritengono che in ogni caso una proposta di riforma della normativa tax credit non possa essere sganciata da una revisione di tutti i meccanismi che concorrono al sostegno pubblico alle opere audiovisive in virtù del concetto di “eccezione culturale”.
«Riteniamo che la proposta di fissare criteri economici per l’accesso delle società al tax credit interno sia sbagliata, e si configuri inoltre come un intervento distorsivo della concorrenza anche ai sensi dell’art. 21 bis della legge 287 del 1990. Ci opponiamo con forza all’idea che la “dimensione economica” sia considerata prevalente garanzia di serietà per una impresa audiovisiva – scrivono nella nota -. Siamo invece favorevoli all’introduzione di ulteriori meccanismi di controllo che evitino l’utilizzo fraudolento del tax credit».
Tra le proposte avanzate al ministero c’è quella di applicare alle società di produzione, in sede di valutazione delle domande di tax credit, il meccanismo di “ranking” previsto dall’attuale legge per i contributi automatici, basato su una serie di criteri oggettivi che contengono sia elementi legati alla qualità (partecipazione a festival importanti), sia elementi legati allo sfruttamento economico (vendite estere, distribuzione in sala, vendite broadcaster ecc), ma senza alcuna limitazione o barriera aggiuntiva (niente cifre minime di automatici o limitare a una sola fascia di festival piuttosto che tutte e tre quelle contemplate attualmente); di ridurre quell’80% di tax credit alle grandi società; di introdurre una verifica sulla congruenza delle spese, in aggiunta all’attuale sistema di accertamento dei costi che non riesce a stanare le operazioni fraudolente; al fine di evitare la concentrazione dei contributi nelle mani di poche multinazionali e per garantire il pluralismo e la parità di accesso ai contributi di Stato, di reintrodurre dei “cap” più stringenti sulla singola impresa di produzione, includendo controllate e/o collegate e/o società che hanno in comune dei soci e/o produttori esecutivi che hanno collaborato stabilmente con le società soggette ai suddetti “cap”; di introdurre criteri premiali nell’attribuzione del tax credit ai progetti seriali, documentari e cinematografici scritti e realizzati da autori e autrici italiani/e e interpretati da attrici e attori italiani/e, rispetto a chi per esempio importa e adatta dei format stranieri o utilizza autori e/o attori stranieri. E ultimo ma non ultimo per ordine di importanza, il criterio della parità di genere. Per quanto concerne le proposte di tax credit alle start-up è essenziale tenere il “cap” massimo a  1.500.000 euro per evitare un fiorire di false start-up che vogliono semplicemente aggirare i “cap” al tax credit per le imprese più grandi.
Altro tema su cui in Italia c’è necessità di intervenire è quello dei diritti. Nella bozza di revisione del tax credit il ministero inizia ad affrontare il nodo. E veniamo a questioni di sostanza, ma che potrebbero risultare tecniche. Sarebbe necessario, precisa l’associazione 100 autori «che per ottenere il tax credit il produttore indipendente, nel rapporto con le Ott, debba obbligatoriamente possedere e mantenere diritti primari sull’opera, in quota e in maniera effettiva, parametrati all’entità del finanziamento pubblico ricevuto e messo a disposizione del budget. Si chiede che chi investe il 30 o il 40% su un prodotto cinematografico o audiovisivo possa vedersi riconosciuti i diritti reali ed effettivi per un importo uguale al suo investimento».
Le associazioni chiedono anche l’apertura immediata di un tavolo per la discussione di una riforma del sistema di finanziamento pubblico all’audiovisivo, che preveda criteri oggettivi per l’assegnazione e soprattutto tempi rapidi, perché l’Istituto Luce fatica ad evadere le pratiche ed erogare i contributi. Per i contributi selettivi, invece, fermi da tre anni, si chiede l’istituzione di commissioni selettrici i cui membri – produttori, sceneggiatori, registi e tecnici di settore, proposti al ministero dalle associazioni di categoria più rappresentative – ricevano un compenso e durino in carica massimo 12 mesi.
L’incontro è stato anche l’occasione per ribadire «come ancora oggi e solo per gli autori e le autrici, non esista un contratto collettivo (o “intercategoriale”) che stabilisca le più basilari regole relative a minimi salariali, condizioni di lavoro, maternità e paternità, disoccupazione, standard qualitativi in riferimento ai tempi e modi di produzione, e diritti degli autori nei confronti della propria opera».