La battaglia contro l’Ebola è una corsa contro il tempo. Il divulgatore scientifico David Quammen, tra i maggiori esperti mondiali di crisi epidemiche, racconta come vincerla, in attesa che venga prodotto un vaccino efficace.

David Quammen non è un reporter di guerra ma è come se lo fosse. Le battaglie di cui si occupa da oltre vent’anni nei suoi magnifici libri e articoli per National Geographic sono quelle che ogni giorno l’umanità combatte contro i nemici più perfidi e invisibili: i virus.

L’ambiente in cui si muove alla ricerca di notizie non è dunque il confine tra Siria e Turchia o la striscia di Gaza. I suoi ampi reportage, genere oramai scomparso dai media italiani, nascono dove vivono i vettori animali delle grandi epidemie. Dalle grotte della Malesia popolate da migliaia di pipistrelli, alla foresta pluviale del Congo in cui si riproducono gli scimpanzé e i rarissimi gorilla. Quando scoppia un’epidemia di Sars o Ebola, Quammen si trova lì, nell’epicentro. Insieme a scienziati, medici ed esperti che tentano di arginarne la diffusione.

David Quammen, Spillover, leftUn’esperienza che da giornalista scientifico e grande narratore ha raccolto nel suo nuovo libro pubblicato in Italia da Adelphi, Spillover, termine che indica il momento del contagio tra due specie diverse. «L’idea di scrivere questo libro – racconta Quammen – è nata 15 anni fa in una foresta dell’Africa centrale durante il mio primo “incontro” con l’Ebola rappresentato dalla morte misteriosa di un gruppo di gorilla e di alcuni abitanti di un vicino villaggio. In quel momento ho cominciato a interessarmi di zoonosi: infezioni o malattie che possono essere trasmesse tra gli animali e l’uomo. Ebola è una di queste, forse la più drammatica». In occasione del Festival della Scienza di Genova, dove ha tenuto una lectio magistralis sulle emergenze attuali provocate dai virus e quelle che potrebbero svilupparsi in futuro, Left ha incontrato Quammen.

A dicembre 2013 l’Ebola è tornato a colpire in Liberia, Sierra Leone e Guinea, causando fino a oggi circa 5mila vittime. Si sa come uccide, ma non si è ancora scoperto l’ospite in cui il virus vive (senza causare sintomi) e da cui per primo si diffonde. A che punto sono le ricerche?

Da 38 anni gli scienziati cercano di identificare l’“ospite serbatoio”. Il sospetto più forte grava sui pipistrelli e i moscerini della frutta. Ma il virus non è mai stato trovato vivo in questi insetti né in altri animali. Finché non sarà scoperto sarà impossibile prevenire nuove esplosioni epidemiche.

Come si trasmette l’Ebola dall’animale all’uomo?

Molto probabilmente il contagio avviene quando si mangia carne di scimpanzé, gorilla o pipistrello. Ma conosciamo con certezza solo un caso in cui il passaggio è avvenuto dallo scimpanzé all’uomo. Un altro vettore può essere la frutta in cui si annidano i moscerini sospettati di ospitare il virus. Ma la frutta viene mangiata sia dai gorilla sia dai pipistrelli che peraltro sono nella “dieta” degli scimpanzé. Ciascuno di questi animali potrebbe essere l’anello di congiunzione tra l’ospite serbatoio e l’uomo. Purtroppo però è solo un’ipotesi.

C’è il rischio che l’epidemia africana si trasformi in una pandemia planetaria?

Oggi c’è un grande focolaio in Africa e alcune scintille in Usa, Spagna e Gran Bretagna. Ma la probabilità che diano vita a un’epidemia in Europa e in America è prossima allo zero. In Occidente abbiamo un buon sistema sanitario, attrezzature adeguate ed esperti, si possono isolare i pazienti. Quindi queste scintille dovrebbero spegnersi in poco tempo. Il pericolo vero è che il focolaio si espanda in Africa.

Quali sono i virus più pericolosi per l’uomo?

Sono quelli che si trasmettono attraverso le vie aeree. Come le influenze stagionali oppure la Sars. Anche se non vi sono certezze, Ebola dovrebbe essere meno pericoloso perché il contagio, compreso quello tra uomo e uomo, richiede un contatto diretto con i fluidi corporei. Quindi non è un virus respiratorio e sembra certo che non abbia nemmeno la possibilità di diventarlo.

Il virus colpisce ciclicamente l’Africa centrale da quarant’ anni. Perché oggi fa tanto paura all’Occidente?

Siamo spaventati dall’elevato tasso di mortalità e dai sintomi molto violenti. Ma incide anche la paura ingiustificata di tutto ciò che viene dall’Africa. Questo virus è pericoloso e meno conosciuto di altri ma non bisogna attribuirgli un potere sovrannaturale.

In Italia e in Francia alcuni genitori hanno impedito l’accesso a scuola a dei bambini che erano stati di recente in Africa, per paura che infettassero i loro figli con Ebola. Questo, nonostante i certificati medici che attestavano la perfetta salute. Un allarmismo ingiustificato che stigmatizzando presunti malati sfocia in atteggiamenti xenofobi. Cosa ne pensa?

L’Africa è un continente gigantesco, isolare oppure ostracizzare qualcuno solo perché viene da lì denota una pessima comprensione e conoscenza dell’Africa stessa. Più che del virus.

Come si può fermare la diffusione di Ebola in attesa di un vaccino efficace?

La sfida si vince inviando più fondi, attrezzature e medici in Africa. Stati Uniti e Gran Bretagna hanno mandato sia soldi che soldati. Cuba ha spedito i propri medici; Cina e Giappone del denaro. Ma tutti devono impegnarsi di più per aiutare i governi dei Paesi colpiti e le organizzazioni che “operano” in prima linea, tra cui Medici senza frontiere ed Emergency.

Qual è il ruolo del tempo nella gestione del rischio epidemico?

Come scrivo in Spillover è un ruolo cruciale perché l’Ebola è un virus impaziente: a differenza dell’Hiv uccide le persone molto rapidamente. Il numero di casi in Africa aumenta in maniera esponenziale. I contagi raddoppiano ogni 2-3 settimane. Quindi è decisivo che arrivino più aiuti e più in fretta. Tra un mese sarà molto più difficile fermare l’epidemia. Più di quanto lo sia già.

Scrivevo già per Avvenimenti ma sono diventato giornalista nel momento in cui è nato Left e da allora non l'ho mai mollato. Ho avuto anche la fortuna di pubblicare articoli e inchieste su altri periodici tra cui "MicroMega", "Critica liberale", "Sette", il settimanale uruguaiano "Brecha" e "Latinoamerica", la rivista di Gianni Minà. Nel web sono stato condirettore di Cronache Laiche e firmo un blog su MicroMega. Ad oggi ho pubblicato tre libri con L'Asino d'oro edizioni: Chiesa e pedofilia. Non lasciate che i pargoli vadano a loro (2010), Chiesa e pedofilia, il caso italiano (2014) e Figli rubati. L'Italia, la Chiesa e i desaparecidos (2015); e uno con Chiarelettere, insieme a Emanuela Provera: Giustizia divina (2018).