Dal 1884, anno della sua fondazione, la vita dell’Ast si intreccia con l’industrializzazione nazionale. Modificando per sempre la vita della fabbrica-città.

Centotrent’anni e non sentirli. Così è per Acciai Speciali Terni, “la Terni”. Come recita l’incipit di Lo sviluppo di una grande impresa (Franco Bonelli, 1975), «La Società degli Altiforni, Acciaierie e Fonderie di Terni venne fondata il 10 marzo 1884 per costruire e gestire impianti capace di produrre acciaio secondo le tecniche più avanzate in uso nei principali paesi industriali». Da subito, dunque, la vita di questa impresa si intreccia con l’industrializzazione nazionale. E va a modificare per sempre le caratteristiche del territorio in cui è insediata. Terni nel 1884 ha circa 17mila abitanti, nel 1901 ne ha 28mila e alla fine della prima guerra mondiale 35mila. I flussi migratori provengono da Veneto, Romagna, Marche, Lazio. Si creano problemi di tenuta sociale, anche perché mancano gli alloggi per tutte queste persone. Ma dalla fabbrica arriva l’impulso a costruire interi quartieri, a volte sperimentando modelli abitativi, come quelli dei grandi palazzi con spazi comuni, o delle “villette” plurifamiliari, con annesso orto condominiale. Il lavoro duro, rischioso, logorante dell’acciaieria crea solidarietà e comunanza tra gli uomini; il miglioramento della condizione abitativa porta socialità anche tra le famiglie. Intanto serve formare una manodopera sempre più qualificata: viene riformato e ampliato l’Istituto tecnico industriale, fondato all’indomani dell’Unità, e che diventerà rapidamente uno dei migliori del Paese. è operativo ancora oggi: gli operai di Astsono tutti diplomati.

Dopo la I Guerra Mondiale arriva il fascismo, e Terni operaia, manco a dirlo, ha avuto il suo biennio rosso, con tanto di sindaco socialista. L’acciaieria attraversa un momento difficile, a seguito della lunga e difficile riconversione postbellica. Ma sta nascendo l’Iri, e Mussolini non ha dubbi: la “Terni” diventa “affare di Stato”, e così resterà per sessant’anni. Le caratteristiche della “fabbrica-città” sono accentuate anche dalla nascita, nel 1927, di un circolo dopolavoristico che si doterà, nel tempo, di rilevanti infrastrutture per lo sport e lo svago. Il circolo e molte di quelle infrastrutture, adeguate e rinnovate, sono attivi ancora oggi. Poi l’orribile ferita della guerra. La città devastata da oltre cento bombardamenti in meno di un anno. Ma la fabbrica no: gli americani la preservano. E i lavoratori seguono i tedeschi fin quasi in Germania per riuscire a riprendersi i macchinari che quelli volevano portarsi via. Il dopoguerra della ricostruzione riparte da lì, dalla fabbrica e dalla sua riconversione. Tra alterne vicende, la “Terni” dell’Iri arriva al 1994: gli addetti sono ridotti a meno di 4.000, compreso lo stabilimento di Torino (di cui conosciamo il tragico epilogo), e produce solo acciai speciali. Con questa denominazione, Acciai Speciali Terni, viene venduta a Thyssen Krupp. Per quattordici anni procura profitti ai nuovi proprietari, anche dopo che questi decidono di rinunciare alla produzione del magnetico, e concentrare investimenti e produzione sull’inossidabile.

Ma nel 2008, alle soglie della grande crisi internazionale, Thyssen Krupp si avventura in investimenti oltre Oceano che si rivelano fallimentari, procurandole danni per miliardi di euro: nel 2012 cede tutte le produzioni europee di inox a una sua partecipata finlandese, Outokumpu. Ma, in base a una discutibile concezione del mercato internazionale dell’acciaio, che lo vorrebbe segmentato per confini amministrativi, il Commissario europeo per la concorrenza Almunia dichiara che si è determinata un’ eccesso di concentrazione e impone a Outokumpu di vendere Ast. In realtà, la Commissione sembra guardare con favore all’acquisizione da parte della franco-italiana Aperam (Mittal, Marcegaglia e Arvedi): effettivamente la produzione di Terni troverebbe una buona integrazione con quelle di Mittal in terra francese. E, in ogni caso, la Commissione esclude l’ingresso di un player extraeuropeo, con buona pace della concorrenza e del fatto che Ast, per poter sopravvivere, ha bisogno di essere inserita in una grande realtà produttiva e commerciale internazionale. L’operazione non va in porto: Aperam offre troppo poco per Thyssen Krupp, che è la destinataria finale dei flussi finanziari, e Otokumpu, ormai in grave difficoltà finanziaria anch’essa, minaccia di vendere a pezzi Ast. Il governo italiano (finalmente) e le istituzioni locali richiamano l’attenzione della Commissione: Thyssen Krupp, a sorpresa, nella notte del 29 novembre 2013 annuncia la riacquisizione di Ast, non avendo più alcun interesse nel settore dell’inox. Lo scorso 17 luglio, a seguito di pressioni soprattutto dei lavoratori che vedono molte incertezze nel loro futuro, un piano “industriale” è stato finalmente presentato al Mise, alla presenza delle Istituzioni locali e regionali. I punti salienti sono: accorpamento delle controllate (tubificio, centro servizi, fucine), chiusura di uno dei due forni fusori, licenziamento di 550 dipendenti (su 3.000) in cinque anni, diminuzione del costo del lavoro del 10%. Il piano è stato dichiarato inaccettabile da tutti, governo incluso, che, però, ad oggi insiste a trattare su quella base. A Terni, dove conosciamo bene gli equilibri della fabbrica, abbiamo ben capito che la Thyssen Krupp mira a chiudere questo “impianto-gioiello”, che con le sue professionalità produce inox di qualità superiore alla media europea; lasciando magari solo i laminatoi a freddo, dove trattare l’acciaio prodotto in Germania per il mercato italiano. Chiudendo l’acciaieria dell’Ast, l’Italia che è il secondo consumatore di inox in Europa, diventerebbe completamente dipendente dalle importazioni: qualcuno ha calcolato che ciò comporterebbe aumenti di costo fino al 20% per l’industria meccanica nazionale.

A conferma di questa strategia, in Germania è stata riattivata un’acciaieria inox, la cui chiusura era già stata concordata con la Commissione, e anche con i sindacati tedeschi, perché inefficiente, su cui sono stati dirottati ordinativi e clientela di Ast, che, infatti, quest’anno fatturerà la metà dello scorso anno. ThyssenKrup è in grandi difficoltà finanziarie, ma insiste a non voler vendere, se non a prezzi assolutamente fuori mercato, a ulteriore conferma di voler solo eliminare un concorrente.In questo contesto, a settembre Almunia ha dichiarato che il piano TK è perfettamente in linea con quanto concordato con la Commissione. Come dire che la Commissione è d’accordo a far chiudere l’unica acciaieria inox italiana. E il Governo? Questa resta una “bella domanda”. Ma qui c’entrano forse gli interessi degli acciaieri italiani, che con Mittal stanno chiudendo su Ilva con un bel pacchetto di soldi pubblici (“per il risanamento ambientale”). E, certo, l’eventuale opposizione tedesca all’affare, magari attraverso la Commissione che si mettesse troppo d’impegno a cercare aiuti di Stato, non è auspicabile. Ma i nostri ragazzi sono leoni: sono in sciopero a oltranza. E Terni non si arrende: tutta la città li sostiene, con civiltà e responsabilità, ma con altrettanta instancabile determinazione. Centotrent’anni, e non sentirli.