Il Rapporto Svimez denuncia come la persistenza di dinamiche recessive e la prosecuzione delle politiche di austerità abbiano dato un affondo drammatico alle difficoltà del Sud dell’Italia. Occorre una strategia nazionale per lo sviluppo, che sia in grado di prefigurare un ruolo attivo dello Stato, di vero e proprio “regista” di una politica industriale. E che vede il Sud come parte di un problema più generale.

Non trovano riscontri precedenti le dimensioni della crisi economica e sociale che irrompe nel Mezzogiorno d’Italia nel 2013, e sembrano esserci ormai tutte le premesse perché si avvii un processo di non ritorno. Sono queste le valutazioni essenziali che emergono dall’elaborazione dell’ultimo Rapporto Svimez, da pochi giorni presentato, che denuncia come la persistenza delle dinamiche recessive e la prosecuzione delle politiche di austerità abbiano dato un affondo particolarmente drammatico alle difficoltà in cui già versava il Sud dell’Italia, determinando una nuova e più importante fase di divergenza dal Centro – Nord.

Il Rapporto chiarisce infatti molto bene che la deriva del Sud fa ora rima con la sparizione di un’intera parte di Paese, creando ulteriori prevedibili effetti recessivi sull’economia di tutte le altre regioni per l’inasprimento del calo della domanda interna. Ma quello che sta accadendo al Sud deve far riflettere anche su ciò che sta accadendo nel Paese nel suo complesso, poiché le dinamiche del Meridione non fanno che riprodurre in forma più accentuata molti dei problemi preesistenti nell’economia italiana. In questo senso uno degli aspetti più scottanti è quello della desertificazione industriale del Sud, che mostra come le fragilità del tessuto produttivo nazionale possano portare a estreme conseguenze.

Stretta tra il più accentuato calo della domanda interna e l’esiguo numero di imprese in grado di competere sui mercati internazionali (anche per la tipica specializzazione in settori tradizionali), l’industria meridionale registra una caduta che «ha assunto un’intensità e una persistenza che sembrano ormai prescindere dal ciclo europeo. In prospettiva, è dunque sempre più forte il rischio che l’industria del Sud non riesca ad agganciare il treno di un’eventuale ripresa europea». Ed è una caduta a cui corrisponde non solo una disoccupazione crescente, ma anche il progressivo impoverimento del “capitale umano”, sia per i deflussi verso Nord, sia per il sempre minore investimento che il Meridione fa sulle risorse più qualificate. Non è però una strategia dedicata al Sud quella che lo Svimez invoca per uscire dalle secche della recessione, bensì, correttamente, una strategia nazionale per lo sviluppo, che vede il Sud come parte di un problema più generale.

Una strategia che sia in grado di prefigurare un ruolo attivo dello Stato, di vero e proprio “regista” di una politica industriale che consenta di riqualificare il tessuto produttivo dell’intero Paese.