Il numero 14 di Left del 19 aprile ne fece la notizia di copertina, riproducendo una strana formula matematica, una funzione di produzione per il calcolo del “Pil potenziale”. Il tema è oggi alla ribalta, se ne parla molto e ha trovato spazio nei documenti ufficiali che il governo italiano ha inviato a Bruxelles nella trattativa sul bilancio.

Left è stato l’unico organo di stampa a dare risalto a quanto denunciato dal Centro Europa ricerche (Cer) a marzo. E cioè che, quasi non bastasse essere ingabbiati dal vincolo europeo del pareggio di bilancio, per un inghippo tecnico tale vincolo veniva applicato all’Italia in un modo particolarmente penalizzante.

Il numero 14 di Left del 19 aprile ne fece la notizia di copertina, riproducendo una strana formula matematica, una funzione di produzione per il calcolo del “Pil potenziale”. Il tema è oggi alla ribalta, se ne parla molto e ha trovato spazio nei documenti ufficiali che il governo italiano ha inviato a Bruxelles nella trattativa sul bilancio.

Di cosa si tratta? L’impegno al pareggio di bilancio, che abbiamo sottoscritto nei vari patti fiscali europei e ci siamo portati in Costituzione, va inteso in termini strutturali. Non si deve cioè guardare alla differenza tra entrate e spese come si leggono nel bilancio, ma il saldo va corretto per l’effetto del ciclo economico. In una situazione di crisi, quando il Pil cresce poco o niente, o addirittura diminuisce, il bilancio pubblico peggiora in modo automatico, perché si incassa meno dalle imposte, mentre aumentano alcune spese, come i sussidi di disoccupazione. Il saldo strutturale si ottiene detraendo dal saldo nominale questo effetto automatico. Quanto maggiore è la correzione, tanto meno viene richiesto in termini di ulteriore aggiustamento fiscale per raggiungere il pareggio.

Ebbene, noi non traiamo praticamente alcun beneficio da questa correzione. Perché? Perché secondo Bruxelles la nostra disoccupazione non è, se non in minima parte, attribuibile alla crisi, ma è un fatto strutturale del nostro sistema economico, vale a dire rimarrebbe più o meno dove sta, attorno al 12 per cento, anche se uscissimo dalla recessione.

C’è comunque chi sta peggio: alla Spagna viene attribuita una disoccupazione “naturale” del 21 per cento, mentre negli Usa la Federal reserve la pone sotto il 6. Questi numeri derivano da stime econometriche che poggiano su un insieme di ipotesi e di scelte di natura discrezionale. I ricercatori del Cer dimostrarono, come ora fanno anche i tecnici del governo, che con aggiustamenti dei calcoli, anche modesti, il saldo strutturale in Italia risulterebbe già in pareggio: non ci dovrebbe essere richiesta dunque alcuna ulteriore manovra sui conti pubblici. Si può, come vuole la Commissione Ue, tenere queste scelte distanti dalla politica, come un fatto esclusivamente tecnico, quando influiscono sulla vita di milioni di persone?