Accantonati gli slogan secessionisti, Matteo Salvini si erge a leader della destra per raccogliere la rabbia delle periferie. E i sondaggi gli danno ragione. Finché non esploderanno le contraddizioni del nazional leghismo.

Ha seminato Grillo e Berlusconi, e ora tallona Renzi. Avanza come un fulmine, Matteo Salvini, l’astro nascente della destra italiana. Uno che la casacca non l’ha mai cambiata, ma le felpe (e gli slogan) sì. Se nel 1997 – quando era candidato al Parlamento del Nord con la lista dei Comunisti padani – lo si vedeva in giro con la maglia di Che Guevara, negli anni delle marce sul Po ha sfoggiato a lungo la felpa “Padania is not Italy”.

Adesso che batte palmo a palmo tutto il Paese ripetendo lo slogan “prima gli italiani” con la stessa assertività con cui un tempo diceva “prima i milanesi”, alterna disinvoltamente maglie che inneggiano alla Lombardia, all’Emilia e persino a Roma. Perché il leader del Carroccio ha capito che il bacino elettorale orfano è la destra, senza limiti territoriali. Così ha velocemente accantonato il secessionismo per marciare alla volta del nazional leghismo fianco a fianco con quelli che nel 2011 liquidava come «i soliti pirla, squadristi e fascisti».

Una contraddizione non facile da risolvere per un partito che si chiama Lega Nord e che sul sito fa ancora riferimento all’indipendenza della Padania. Ma lui tira dritto: fa conferenze stampa con la leader dell’estrema destra francese Marine Le Pen, va a trovare Vladimir Putin in Russia, sguinzaglia il fascistoide Mario Borghezio al di sotto della linea gotica e si allea con la destra sociale di CasaPound.

E mentre tutti i partiti italiani, persino il Pd di Renzi, calano nei sondaggi, il Carroccio 2.0 sfreccia oltre il 10 per cento, record nazionale per il movimento fondato da Umberto Bossi. Anche se ripete la solfa del «destra e sinistra non contano più niente», Salvini sa benissimo che il vuoto da riempire è a destra. E infatti lo scontro con Flavio Tosi, raccontano dall’interno, non è solo su quale dei due leader debba guidare la coalizione, ma su dove si debbano prendere i voti: il sindaco di Verona è convinto che la competizione con Renzi si giochi nel campo moderato, Salvini punta all’elettorato esasperato delle periferie allo stremo. Una volta fatto il pieno di consensi là, è pronto a trattare con il centro, ormai a secco di voti. Per farlo, lancia crociate contro immigrati, rom ed euro, scatenando guerre tra i poveri e gettando benzina sul fuoco.

L’ENFANT PRODIGE DEL CARROCCIO

Come il suo omonimo a Palazzo Chigi, anche Salvini, classe 1973, ha cominciato a fare politica giovanissimo. Affascinato dallo slogan «Sono lombardo, voto lombardo», si è iscritto alla Lega a 17 anni. Già a 20 è eletto consigliere comunale a Milano, e a 25 diventa segretario della Lega meneghina. Racconta spesso che da ragazzo aveva due foto sul comodino: Umberto Bossi e Franco Baresi. Lega e Milan le sue grandi passioni, assieme a Fabrizio De Andrè e ai tortelli di zucca.

Cresciuto ai microfoni di Radio Padania Libera, è diventato un abile comunicatore. I conduttori televisivi l’hanno capito e ormai imperversa su tutte le reti, dal mattino alla sera. Nel suo excursus non sono certo mancate le sparate esagerate, come quando nel 2009 se ne uscì con la proposta di destinare alcune carrozze del metrò ai milanesi. Era parlamentare e fu sommerso dalle critiche. Ma Salvini non è uno che si demoralizza. E si è rimesso al lavoro, tra mercati e banchetti, sempre in mezzo alla gente.

Poi è scoppiato lo scandalo dei soldi alla famiglia Bossi e dei rimborsi irregolari, tra banchetti di matrimonio e munizioni per fucili, e il Giamburrasca che un tempo frequentava il centro sociale Leoncavallo ha abilmente sfilato la Lega al suo fondatore. Dopo aver impugnato la ramazza assieme a Roberto Maroni, alle primarie del 7 dicembre 2013 Salvini ha conquistato l’82 per cento dei voti, mandando a casa il senatùr, vecchio e malato. Certo, i votanti erano 10mila, non i quasi tre milioni che il giorno dopo si sono recati ai gazebo del Pd, ma l’investitura è stata netta.

Già alle Europee di maggio ha sorpreso tutti: invece di scomparire, il suo Carroccio ha incassato un dignitoso 6 per cento e ha eletto il suo primo europarlamentare nel collegio Centro Italia. C’è chi racconta che questo colpaccio sia stato un caso fortuito. Molti non volevano ricandidare Borghezio, che aveva finito il suo mandato in Europa con una sospensione dal gruppo per la sua sparata contro il “governo bonga bonga” della “negra” Kyenge. Salvini gli ha proposto il seggio incerto di Roma: lui ha accettato e si è buttato pancia a terra, riattivando i suoi contatti di estrema destra.

Studi classici al liceo Manzoni, centro di Milano (ma non ha mai finito l’università), Salvini soffia sul fuoco mantenendo una parvenza di buona creanza. Non chiama gli immigrati “bongo bongo”, come i suoi compagni di partito, e non paragona la Kyenge a un “orango”. Però può essere verbalmente molto aggressivo. Come quando ha ripreso l’ex ministra all’Integrazione in visita alla Nazionale di calcio: «Ma preoccupati dei disoccupati e degli esodati invece di girare l’Italia da turista, a spese nostre, sparando cazzate». È stata gentile Cecile Kyenge a non restituirgli l’accusa.

Perché Salvini è costantemente in giro per l’Italia con la sua auto piena di volantini. E lo fa malgrado sia pagato per stare a Bruxelles. I dati delle sue presenze in aula parlano chiaro: ha un tasso di assenza nella metà delle votazioni, piazzandosi al 706esimo posto su 750 europarlamentari. Non molto migliore il suo posizionamento per l’attività: 604esimo. Il giudizio più tranchant l’ha dato il socialista belga Marc Tarabella: «Sei un fannullone di questo Parlamento. Solo in tv, mai in aula, mai in riunione per lavorare», l’ha apostrofato nel gennaio 2013, furibondo per le sue assenze in commissione, là dove si risolvono i problemi della gente.

TANTI SLOGAN, POCHE SOLUZIONI

Molti, infatti, ipotizzano che il problema di Salvini sarà la capitalizzazione del consenso. Del resto è noto che il Carroccio ha governato per quasi 20 anni a Milano e altrettanti in Italia senza risolvere i problemi da sempre indicati dai leghisti come prioritari. A cominciare dai campi Rom, che venivano continuamente sgomberati e spontaneamente risorgevano. Un partito, il suo, che non ha esitato a lasciare a digiuno i bimbi non in regola con il pagamento della mensa scolastica, ed ha proposto di vietare la materna ai figli degli immigrati irregolari o di denunciare i clandestini che si fossero presentati in ospedale.

Eppure Salvini sfoggia una sensibilità sociale, contrapponendo gli immigrati al disoccupato nostrano che non arriva a fine mese o al pensionato che non ha i soldi per curarsi. Sempre fingendo che lo straniero intaschi risorse che altrimenti andrebbero agli italiani che “fanno la fila”, mentre la maggioranza dei fondi sono europei e vincolati all’integrazione. «Salvini ha capito che lo spazio politico oggi è a destra: c’è una forte domanda di destra ma non c’è offerta», spiega il politologo Roberto D’Alimonte. «Lui dà risposte di destra su temi come l’immigrazione, l’euro e i diritti civili. Vorrebbe fare un partito di destra nazionale ma è segretario di un partito che si chiama Lega Nord. La sua crescita continuerà finché questa contraddizione non esploderà».

Oltre che con il suo passato, le contraddizioni sono anche nei confronti dei suoi alleati. Molti elettori di Forza Italia, ad esempio, inorridiscono all’idea dell’uscita dell’euro. Salvini stesso, del resto, nell’ottobre 2012 era categorico: «Il Nord l’euro se lo può permettere. Io a Milano lo voglio, perché qui siamo in Europa. Il Sud invece è come la Grecia e ha bisogno di un’altra moneta». A segnare le distanze con i fan di Berlusconi, ci sono anche le posizioni leghiste a favore della certezza della pena e contro ogni indulto. Con gli ex An, invece, lo iato è sempre stato sull’integrità della patria e sul Tricolore, che i leghisti hanno sempre voluto bruciare. Anche Salvini gli preferiva la bandiera con la croce di San Giorgio, tanto da farsi contestare nel giorno del 150esimo dell’unità d’Italia. Ovviamente di questi episodi non parla più, né rievoca il suo coro “Napoli merda, Napoli colera” di 5 anni fa.

Come se non bastasse, è stato pizzicato in contraddizione anche nella vita privata. Convinto fustigatore delle assunzioni di parenti, arranca nello spiegare come mai la sua attuale compagna sia stata chiamata dalla Regione Lombardia a guida leghista. Lui ribatte che Giulia – dalla quale nel 2012 ha avuto una bambina (Mirta) -, lavorava già con l’attuale assessore al Welfare quando era alla Asl. Ma è emerso che pure la sua ex moglie, Fabrizia – che nel 2003 gli ha dato un figlio maschio (Federico) -, passò da una radio privata al Comune di Milano quando lui era consigliere.

E se Salvini può trovare argomenti sulla competenza delle sue donne, fa senz’altro fatica a spiegare per quali meriti scelse come assistente a Bruxelles Franco Bossi, fratello dell’Umberto: uno che prima di seguirlo in Europa, aveva un negozio di autoricambi. Nel 2010, inoltre, “l’altro Matteo” fu tra quelli che sostennero la candidatura del pluribocciato Renzo Bossi nella lista per la Regione. Certo, lo scandalo dei soldi del partito usati per auto e paghette dei figli non era ancora scoppiato. Ma l’unica operazione politica del Trota era stato inventare il gioco “Rimbalza il clandestino”, rimosso addirittura da Facebook. Un exploit in perfetta linea col nuovo corso leghista.