Il chitarrista degli Smiths ha talento, una ritmica precisa e capacità anche da solista. Aveva stupito pubblico e addetti ai lavori con The Messenger. Poi ci ha preso gusto e un anno dopo ha dato alle stampe Playland.

L’epopea degli Smiths è in gran parte identificata con la figura di Morrissey. Dotato di voce, carisma, capacità intellettuali e presenza scenica, il frontman della formazione che ha caratterizzato il rock inglese degli anni 80 è assurto da tempo al ruolo di icona.

Accanto a lui però c’era un personaggio che ha sempre fatto il proprio dovere musicale restando un passo indietro. È Johnny Marr, chitarrista di talento, con una ritmica precisa e capacità anche da solista. Aveva stupito pubblico e addetti ai lavori facendo finalmente un disco a suo nome nel 2013 (The Messenger) dopo anni di collaborazioni importanti. Poi Marr ci ha preso gusto e, un anno dopo, ha dato alle stampe Playland.

Johnny Marr, Playland, left«Quando The Messenger è uscito ho continuato a scrivere», spiega Marr. «Mi è piaciuto che la band sia andata in tour e abbia avuto un’interazione con il pubblico. Penso che quell’energia sia stata catturata nel nuovo album». La formazione di Marr è essenziale: con lui il coproduttore Doviak alle tastiere, il bassista Iwan Gronow e il batterista Jack Mitchell. Il lavoro su Playland è iniziato a Londra nella scorsa primavera, non appena è terminato il tour di un anno a sostegno di The Messenger.

«In questo disco c’è il suono di Londra e Manchester – aggiunge il chitarrista -; la sensazione che danno le due città e le persone che vi abitano sono entrate a far parte della musica». Se infatti ascoltiamo il disco traccia per traccia troviamo costantemente l’atmosfera “da club” che unisce le due città. Un mood fatto di birra e di persone che ascoltano in piedi allegre, ma ordinate.

La Manchester che ha dato i natali a Marr è arrabbiata e creativa, mentre Londra ha il potere di sintetizzare le idee. Così nascono brani come l’iniziale “Back in the Box”, dove il rock’n’roll graffia ancora, o “Dynamo” che forse è il momento di maggiore ispirazione del disco fatto di melodia e cura strumentale, per arrivare a “Playland” dove la velocità non è un effetto sonoro ma quasi un manifesto ideologico. Non stupisce ascoltando questi brani come il suono degli Smiths abbia condizionato il rock britannico negli anni successivi. E che forse, più di Morrisey, sia stato Johnny Marr a incarnarne l’anima.