Dopo le elezioni regionali dell’Emilia Romagna e della Calabria, prima che la valanga delle astensioni si manifesti presto in Toscana, davanti al Pd e a chi lo governa ci sono due alternative: correre alle elezioni anticipate per raccogliere gli ultimi residui di un entusiasmo in gran parte volatilizzato o governare sul serio e mostrare i risultati concreti di un’opera di governo finora fatta di parole. Vedremo.

I fatti hanno la testa dura. Le parole possono ingannare ma non li scalfiscono. Quando si perde il sessanta per cento del proprio elettorato la vittoria è quella di Pirro. Dopo le elezioni regionali dell’Emilia Romagna e della Calabria, prima che la valanga delle astensioni si manifesti presto in Toscana, davanti al Pd e a chi lo governa ci sono due alternative: correre alle elezioni anticipate per raccogliere gli ultimi residui di un entusiasmo in gran parte volatilizzato o governare sul serio e mostrare i risultati concreti di un’opera di governo finora fatta di parole. Vedremo.

La questione, com’è evidente, riguarda tutti i cittadini e investe la natura e le prospettive della democrazia nel nostro Paese. A questo bisogna tenere fisso lo sguardo in una fase di liquefazione delle fedeltà e delle certezze politiche più radicate. Chi ricorda più i raccolti elettorali garantiti in anticipo alle sinistre nei comuni delle regioni rosse? Erano raccolti in numeri assoluti, quelli: non si giocava allora con le carte false delle percentuali. Oggi il mondo è cambiato: e la gente traduce immediatamente in sede elettorale la dura realtà dell’esperienza quotidiana. Si è rotto il patto con gli amministratori locali, dove la corruzione ha corroso l’antico patto di fiducia. Anche perché al di là dell’onestà personale dei singoli i segnali più allarmanti del malgoverno del Paese arrivano proprio attraverso gli organismi di autogoverno più delicati e sensibili della democrazia italiana. Trasformate le province in pensioni per amministratori locali a fine corsa, il Comune è diventato un esattore occhiuto e avido che ricorre a tutti i pretesti per ottenere dai cittadini quei soldi che non arrivano più dallo Stato. è anche così che muore una democrazia.

Quella che avanza è una versione maggioritaria della democrazia; qualcosa che sta agli antipodi della democrazia partecipativa. Se si vuole incrementare la partecipazione bisogna che le decisioni di chi governa siano prese avendo in vista l’interesse generale e la protezione dei più deboli, alla luce di quella che Dworkin ha chiamato una “visione globale della moralità politica”. La democrazia non è un dato immobile ma un processo: solo camminando in direzione di un pieno sviluppo delle facoltà umane, allargando la gamma di diritti, libertà e risorse, aiutando i cittadini a inserirsi attivamente nella vita della società, eliminando la povertà, si potrà favorire la crescita della partecipazione politica.

In Italia i dati elettorali mostrano che, se la fase calante della marea non è cominciata oggi, solo di recente la velocità della marea in ritirata ha conosciuto una forte accelerazione. La curva dei dati è eloquente: la fase dell’alta marea cominciò nel 1948 e si mantenne per trent’anni sopra il 90%. Nel 1979 il mare della democrazia cominciò a ritirarsi, il popolo già fedele più di ogni altro al diritto-dovere del voto imparò a voltarsi dall’altra parte. Dal 2008 la fase calante è diventata più veloce. Oggi sei cittadini su dieci non votano. Col gioco ingannevole delle percentuali la maggioranza si calcola su di una minoranza di votanti.

E allora proviamo a prendere sul serio il problema di un fenomeno che si può definire con molte parole – disincanto, stanchezza, sfiducia, perdita di speranza nella politica – ma che ha cause profonde. Si leggano le proposte di un libro appena uscito, frutto di una riflessione non di breve respiro sulla questione che tutti ci riguarda: quello di Marina Lalatta Costerbosa, La democrazia assediata. Saggio sui principi e sulla loro violazione (Deriveapprodi 2014 ). Come osserva l’autrice, la decadenza della democrazia nella società capitalistica è il frutto di un impoverimento del valore dell’individuo. Lo sguardo che si posa sugli esseri umani è sempre più deformante e riduttivo: conta solo l’“homo oeconomicus”, l’oggetto delle tecnologie e delle biotecnologie, contano i mezzi per dirigerne i comportamenti e ridurne lo spirito critico: il principio kantiano è rovesciato, l’essere umano è sempre più un mezzo e non un fine.

Ma è sulla premessa generale dedicata al lettore italiano che bisogna specialmente soffermarsi: vi si osserva che la democrazia ha il suo principale nemico nella corruzione. Ogni tentativo di affermazione del principio democratico deve partire dalla lotta contro questo mostro. Ma qui il pensiero va al patto costitutivo dell’attuale maggioranza di governo, quello detto “del Nazareno”. Chi l’ha sottoscritto sapeva in anticipo che non ci poteva essere posto per una vera giustizia, per introdurre il reato di falso in bilancio o quello di autoriciclaggio, per misure realmente inclusive di lotta alla povertà, di potenziamento della scuola pubblica, di riforma del diritto di cittadinanza. E il futuro che si apre oggi è molto buio: finora è mancata la volontà, da ora in avanti non ce ne sarà nemmeno il tempo. Per Renzi la strada obbligata è quella delle elezioni anticipate. La crisi italiana si avvita senza fine.