Il sindaco Marino invia reperti negli Usa, come se in Italia non ci fossero studiosi. Mentre dilaga la delegittimazione dei professionisti dei Beni culturali.

Immagini differenti che tentano di costruire un’idea. Da una parte un aereo da turismo che recupera e porta in salvo tre persone e un “prezioso vaso”, in una nota pubblicità di qualche anno fa. Dall’altra, Arturo, alias Paolo Calabresi, uno dei protagonisti del film Smetto quando voglio, commedia di Sydney Sibilia, in cui alcuni “cervelli” espulsi dal mondo del lavoro danno vita a una banda malavitosa. Differenti i luoghi, contrapposti i contesti sociali. Al centro, sempre, l’archeologo.

Prima, figura autorevole romanticamente fascinosa; dopo, corpo avulso, mortificato. Quanto quelle caratterizzazioni siano indissolubilmente connesse ai tempi lo indiziano i numeri. Un recente rapporto stilato dalla Confederazione italiana Archeologi, nell’ambito del Progetto Discovering archeologists in Europe, parla di un settore in crescente sofferenza, che nel biennio 2012-2013 ha potuto contare su 4.500 attivi, per il 52 per cento con una formazione anche post laurea, concentrati nel centro del Paese, soprattutto nel Lazio (26,7 per cento) e a Roma (20 per cento).

Il reddito? Quello medio si attesta sui 10.680 euro circa l’anno, ma neppure tanto infrequentemente scende fino ai 5mila euro. Una fotografia impietosa, peraltro parziale. Perché se è evidente che aree archeologiche e monumenti non godono di buona salute, è altrettanto vero, anche se meno noto, che anche i professionisti del settore non se la passano per niente bene. Al momento del sondaggio della Confederazione italiana archeologi il 28 per cento degli intervistati era senza lavoro. E con sempre più esigue speranze di trovarlo. Questo progressivo collasso, causato da politiche nazionali e locali, ormai da tempo inadeguate, si avverte a Roma forse più che altrove.

Mentre si persegue il progetto del grande parco archeologico centrale, fulcro per la città secondo il sindaco Marino, l’archeologia praticata è quasi solo quella preventiva. Ogni giorno schiere di professionisti di ogni età disseminati dal centro alle periferie a far sorveglianza alle squadre di operai intenti a riammodernare, qualche volta a manutenere, la rete di Acea e Italgas. Non molto per i tanti che sognavano di fare davvero gli archeologi. Anzi, sembra che l’Amministrazione comunale, così sensibile al tema della tutela e valorizzazione del patrimonio storico-archeologico, al quale ci si sforza di provvedere facendo ricorso all’intervento privato, non lo sia altrettanto con gli addetti ai lavori.

Un nuovo capitolo della progressiva delegittimazione del settore è stato siglato con il protocollo d’intesa tra amministrazione comunale ed Enel riguardo al progetto The Hidden Treasure of Rome. Come ha scritto il sindaco Ignazio Marino grazie a questo programma, «i ricercatori di musei e università tra le più prestigiose del Nord America, e di tanti altri Paesi del mondo, avranno l’opportunità unica di studiare su materiali… conservati… presso l’Antiquarium dei Musei Capitolini».

Materiali finora mai analizzati «saranno oggetto di accurati programmi di ricerca, per poi essere restituiti alla città, classificati e catalogati, pronti per essere inseriti in importanti progetti espositivi e culturali». Aggiungendo che si tratta di un’operazione «che se Roma dovesse fare da sola, con le proprie risorse, richiederebbe decenni. Oggi, invece, possiamo avvalercene a costo zero». Insomma li mandano all’estero come se non ci fossero le competenze sufficienti per fare a Roma.

Quanto la decisione sia stata considerata un affronto all’archeologia romana, più generalmente al comparto degli addetti ai Beni culturali romani, lo si comprende leggendo le dichiarazioni delle associazioni di archeologi e professionisti dei beni culturali (scese in piazza, a Roma, il 29 novembre per protestare contro questo e altri progetti di uso e abuso del volontariato, ndr). Non solo. La Soprintendenza comunale ha pubblicato un «avviso pubblico per la ricerca di associazioni di volontariato, associazioni culturali per lo svolgimento di attività gratuite, da svolgersi presso Musei ed aree archeologiche e monumentali di competenza della Soprintendenza comunale».

Largo ai volontari, insomma. Ovvero a operazioni a costo zero sia per quel che riguarda la fruizione di musei che di aree archeologiche, che per lo studio e classificazione di materiali sostanzialmente inediti. In questo Comune e Soprintendenza di Roma in piena sintonia con le politiche nazionali che agevolano il coinvolgimento del terzo settore. Indicando come forse in Italia non ci sia più quasi spazio per chi ha imparato e quindi ritiene che l’archeologia sia una scienza moderna e non un divertissement ottocentesco.