Il nuovo album dei Kalàscima, Psichedelic Trance Tarantella piuttosto che offrire rassicuranti "cartoline dalla pizzica" si affida a una lettura digitale del ricchissimo patrimonio popolare di quest’area del sud, adesso così alla moda, per descrivere la vita oggi.

Il tamburo si veste di suoni psichedelici. E la trance evocata dal battere iterativo, arcaico sulle percussioni diventa linguaggio della contemporaneità, fuori dai panorami folkorici nei quali è costretta, da anni, la musica tradizionale salentina.

Questo è il “messaggio” portato in scena dal nuovo album dei Kalàscima, Psichedelic Trance Tarantella (Ponderosa) che, piuttosto che offrire rassicuranti “cartoline dalla pizzica” si affida a una lettura digitale del ricchissimo patrimonio popolare di quest’area del sud, adesso così alla moda, per descrivere la vita oggi.

Kalascima, Psichedelic Trance Tarantella, leftI sogni, i desideri, le aspirazioni di una generazione che ha scelto di coltivare la passione contenuta in quel «cattivo passato che ritorna» (per citare l’Ernesto de Martino della Terra del Rmorso) e di farla passare per il filtro distorto di una nuova visione pop. I Kalàscima, fondati qualche anno fa da Riccardo Laganà, hanno girato il mondo, dall’Europa all’Australia, portando il loro sound in innumerevoli rassegne e festival, incontrando artisti di ogni provenienza con i quali stringere interessanti collaborazioni.

Come il cantante mongolo Bukhu, con il quale proprio in Australia hanno diviso il palco, prima di suonare insieme, la scorsa estate, in un ‘progetto speciale’ del Festival che nel Salento precede la Notte della Taranta.E, a proposito di collaborazioni, nel disco spicca la presenza del pianista Ludovico Einaudi, che il gruppo ha conosciuto durante i suoi due anni di direzione artistica del festival salentino. Da qui, l’invito a Laganà a far parte del suo ensemble (del quale adesso è uno dei componenti) e la sua partecipazione a Psychedelic Trance Tarantella.

Il brano è “Due mari” e gravita proprio intorno a un fraseggio minimale di pianoforte che dispiega tutta la forza ipnotica e tribale di questa musica. Per il resto, il disco si sviluppa attraverso una serie di racconti che passano dalle storie di riscatto possibile, personale e del Sud, a vivide rievocazioni. Come in “La rivolta dell’Arneo”, dedicata a quei contadini che si batterono nel 1950 perché la riforma agraria venisse applicata anche nell’agro dell’Arneo, «Perché la musica popolare – dicono – non deve avere solo una funzione spettacolare, ma deve essere anche memoria sociale».