L’auspicio, all’inizio di un nuovo settennato, è che il nuovo Presidente abbia sempre presente che i cittadini sono tutti uguali, al di là dalla concezione del mondo che coltivano, e che gli spazi istituzionali sono di tutti.

Il Presidente ha compiti ben precisi da compiere. In particolare, è considerato il garante della Costituzione: l’attentato alla Costituzione e l’alto tradimento sono i soli due motivi che possono portare alla sua destituzione. La laicità, ricorda la Consulta, è un supremo principio costituzionale. E il Presidente è dunque chiamato a garantirne il rispetto – chiunque sia e qualunque concezione del mondo abbia. Nella storia repubblicana vi sono stati presidenti credenti e non credenti, ma la loro azione raramente ha risentito delle loro convinzioni.

C’era preoccupazione, nel 1992, quando fu eletto Oscar Luigi Scalfaro: ancora ricordato per le pubbliche ingiurie che, 42 anni prima, aveva rivolto a una donna “colpevole” di indossare un vestito che le lasciava nude le spalle. Ma nel suo primo incontro con Wojtyla gli disse che «lo Stato è laico perché deve essere la casa di tutti, né alcuno ha il diritto di porvi il proprio marchio di fede politica o religiosa». Il devotissimo Scalfaro uscì dal Quirinale addirittura laicista, per gli standard cattolici: finito il mandato si espresse contro l’Otto per Mille e, suscitando gli strali della Cei, votò per il referendum sulla fecondazione artificiale.

Anche Carlo Azeglio Ciampi, cattolico azionista, intervenne con fermezza quando, prima delle elezioni politiche del 2001, il numero due vaticano Sodano si mise a “consultare” i leader dei due poli, Rutelli e Berlusconi. Ciampi ricordò loro di avere “sempre presente” l’articolo 7 della Costituzione, quello che recita che «lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani». Ebbe qualche piccola sbandata, come la perorazione pubblica del crocifisso nel corso di un messaggio di fine anno. Ma nel complesso fu ligio al suo ruolo laico.

Giorgio Napolitano è stato invece un caso un po’ a parte. La sua presidenza è stata caratterizzata da novità (il primo ex comunista, la rielezione) ma, soprattutto, da un certo allargamento della sua influenza. Riconosciuto sia da chi l’ha giustificato come “necessaria supplenza”, visto lo stallo del quadro politico, sia da chi l’ha criticato come “indebita ingerenza”. Qualcosa del genere è accaduto anche sui temi laici. Napolitano non firmò il decreto con cui Berlusconi voleva proseguire indefinitamente la “non vita” di Eluana Englaro. Ma è spesso intervenuto per accreditare la Chiesa cattolica come parte essenziale della nazione: dall’esplicita attenzione ai messaggi di Benedetto XVI (pur trascurati dagli stessi cattolici) al messaggio agli integralisti di CL in cui definiva “l’impoverimento spirituale” una “emergenza che viviamo”. Chiese la rimozione dei simboli padani dalla scuola di Adro, ma non quella dei crocifissi: che, come i “soli delle Alpi”, erano simboli di parte imbullonati in luoghi di tutti. Per i 150 anni dell’Unità d’Italia non prese la parola durante la cerimonia alla breccia di Porta Pia, lasciando che solo il cardinal Bertone dicesse la sua. E la “sua”, ovviamente, fu l’apologia del papa-re Pio IX.

L’auspicio, all’inizio di un nuovo settennato, è che il nuovo Presidente abbia sempre presente che i cittadini sono tutti uguali, indipendentemente dalla concezione del mondo che coltivano, e che gli spazi istituzionali sono di tutti. Il Quirinale è lo spazio istituzionale per eccellenza: il suo nuovo inquilino non deve e non può dimenticarlo.

*Segretario nazionale Uaar

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