Left fa come l’indiano che si ribella, e va in piazza con la Grecia. Perché è vero che se cambia la Grecia, cambia l’Europa. È vero che se non c’è ben-essere non c’è democrazia.

20 febbraio 2012. Time sbatte Mario Monti in copertina e titola “Can this man save Europe?”. Nel pezzo di apertura Michael Schuman definì SuperMario «the most important man in Europe» e lo incoronò “salvatore” dell’Italia e degli Stati limitrofi. Solo tre anni fa, Monti avrebbe dovuto salvare l’Europa. Superati gli ostacoli di una destra e di una sinistra egualmente incapaci, lui col suo fare apolitico ci avrebbe dovuto tirare fuori dai guai grossi. Come è andata lo sappiamo.

10 febbraio 2015. «Nessuno deve negoziare sotto la morsa della paura. E nessuno deve avere paura di negoziare», la frase l’aveva scritta John Kenneth Galbraith, l’economista consigliere di Kennedy, e in questi giorni la ripete suo figlio James, grande amico di Yanis Varoufakis. Il neoministro delle Finanze greco, che Left ha scelto di sbattere in copertina volutamente con lo stesso titolo, si oppone al mantra reazionario della Troika e chiede «democrazia dappertutto e per tutti». Vuole rompere quello che Fitoussi ha definito «l’equilibrio del terrore instaurato dalla Merkel» e si aggira da giorni per l’Europa seminando terrore. Nessuno, in primis Italia e Francia, trova il coraggio di schierarsi al suo fianco per paura di subire ritorsioni. Meglio tacere e fare i compiti.

Una storia assurda se ci pensate. L’Europa era nata come spazio inclusivo, intelligente, sostenibile. Uno spazio di pace dove realizzare l’economia della conoscenza, la più dinamica al mondo. E poi? Cosa è successo poi? Come mai in questa Europa qui un quarto della popolazione è in condizione di povertà e un ottavo della forza lavoro è disoccupata? Come mai in questa Europa qui si può ancora morire di freddo? Ma soprattutto quale virus invisibile ha portato qualcuno a pensare di poter infliggere tagli e miseria e morte anche?

«Ignorare la sofferenza di un uomo è sempre un atto di violenza», ha detto Gino Strada. In questa Europa qui “non più Europa” si è arrivati non solo ad ignorare la sofferenza di interi Stati ma anche a produrla. «Sono cinque anni che l’Europa su ispirazione tedesca ci infligge il “Fiscal waterboarding” (la peggiore delle torture della Cia in versione finanziaria). Strangolare un popolo per costringerlo al rigore oltre i limiti mentre la gente è senza lavoro e vive con pensioni da fame e muore di malattie scomparse cinquant’anni fa. Dove dobbiamo andare a finire?», si chiede Yanis Varoufakis.

Angela Merkel da crudele matrigna si è trasformata nell’odiosa infermiera di Qualcuno volò sul nido del cuculo (Miloš Forman, 1975). La ricordate? Quella col sorriso e gli occhi di ghiaccio, che metteva la musichetta mentre distribuiva pesanti psicofarmaci ai pazienti e lobotomizzava i soggetti più intemperanti. Questa storia sembra così. Sono già pronti a recidere le connessioni della corteccia prefrontale della Grecia. Certi che poi non ci sarà più nessuna intemperanza.

Eppure chi ricorda, sa che in quella storia c’era un indiano. Un uomo alto e grosso e muto (non perché muto), che si ribella. Contro la violenza di quella mentalità e di quella prassi e fugge. Anzi ricomincia a parlare, rompe tutto e cerca la libertà.

Yanis Varoufakis ha studiato tutta la vita. Matematica ed economia. Ha viaggiato per una vita: Atene, Essex, Sidney, Austin e poi di nuovo Atene accanto ad Alexis Tsipras. E in questi giorni a chi lo intervista ripete «c’è una nuvola di paura che avvolge l’Europa. Lo capirebbe anche un bambino di otto anni: i compiti che ci hanno dato sono sbagliati, così come la ricetta che ci hanno imposto». La reazione della Troika non è stata delle migliori. Niente di peggio che incontrare qualcuno che cerca e propone soluzioni serie per togliere “la paura”.

14 febbraio 2015. Left fa come l’indiano che si ribella, e va in piazza con la Grecia. Perché è vero che se cambia la Grecia, cambia l’Europa. È vero che se non c’è ben-essere non c’è democrazia. Ed è vero che la democrazia non è soltanto una forma di governo, come dice Nadia Urbinati, ma anche un modo di pensare le relazioni con gli altri e prima ancora con se stessi. Come è vero che «prima o poi la signora Merkel – dice Varoufakis – dovrà sedersi ad un tavolo con noi e spiegarci per quale ragione le nostre proposte non vanno bene».

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