Fiction o no, i riflettori si accendono sui corridoi di palazzo. Tanto che, anche nella realtà, i “retroscena” dell’azione di Governo finiscono per mescolarsi alla comunicazione istituzionale.

Il 27 febbraio torna House of Cards. La serie racconta la scalata al potere di Frank Underwood e vanta tra i propri fan non pochi capi di stato. In primis Barak Obama che, in occasione del finale della seconda stagione, twittò «No spoilers please». Niente anticipazioni, solo un consiglio: guardatelo e, se vi siete persi le prime due serie, recuperate seguendole in chiaro su Sky TG24.

Proprio la decisione di trasmettere in prima serata su una all news la serie con Spacey, al posto del consueto tg, è l’occasione per riflettere sul filo che lega realtà e finzione. In quest’ottica è interessante ricordare le parole di Micheal Dobbs (politico britannico, ex membro dello staff della Thatcher e autore dei romanzi da cui è tratta la serie su Underwood): «Quando ho saputo che Renzi aveva acquistato una copia di House of Cards , ho ritenuto prudente inviargli una nota per ricordargli che il libro è solo intrattenimento e non un manuale d’istruzioni».

Facendo poi scorrere la mente all’indietro, fu proprio Renzi ad abbozzare l’idea, mai più riesumata, di dar vita alle Nuove Frattocchie, una scuola politica innovativa, nella quale – cit. del Rottamatore – «Si dovranno studiare anche le serie tv». In un continuo gioco di rimandi diventa sempre più difficile distinguere chi prenda spunto da chi.

L’unico dato certo è una politica alla ribalta del palcoscenico, protagonista di telefilm, romanzi e webseries. Un successo enorme che non si replicava dai tempi del Principe di Machiavelli, anch’esso tra l’altro ripescato e incorniciato nel piccolo schermo con il principe Valentino dei Borgia.

Dopo ben tre rivoluzioni mediatiche dall’avvento della stampa (radio, tv e, dulcis in fundo, social media), la cara vecchia politica si scrolla la polvere di dosso e diventa nuovamente à la page per il grande pubblico. Non perché catturi con i contenuti – quelli restano troppo verbosi per la maggior parte dei cittadini -spettatori – ma perché chi la racconta in tv ha imparato a dipingerne i lati comici e quelli intriganti e, se si parla di politica, lo si fa per parlare del suo stretto consorte: il Potere. Vera star della narrazione dai tempi della guerra di Troia, oggi declinato in molteplici stereotipi: dal vicepresidente incompetente di Veep – dove Julia Dreyfus nei panni della VP Selina Meyer è accerchiata da uno staff caricatura perfetta quanto verosimile di quello di molti politici – alla iper qualificata Olivia Pope di Scandal, ispirata alla storia vera di Judy Smith, per anni consulente in crisis management per la Casa Bianca e vicecapo ufficio stampa di George Bush.

Fiction o no, i riflettori si accendono sui corridoi di palazzo. Tanto che, anche nella realtà, i “retroscena” dell’azione di Governo finiscono per mescolarsi alla comunicazione istituzionale, come avviene quando a postare qualche foto su instagram con l’hashtag #cosedilavoro è Filippo Sensi, attuale portavoce del Presidente del Consiglio. Al centro del racconto anche lo staff, d’altronde: cosa dà l’idea del retroscena più dello staff?

E si passa dal collaboratore ingenuo interpretato ormai 24 anni fa da Silvio Orlando ne Il portaborse a Piero Zucca, politico ingenuo de Il Candidato manipolato da uno “spregiudicato” team di spin doctor. Come accade per House of Cards, a mettere in onda la miniserie è, ancora una volta, un programma di approfondimento informativo, Ballarò. È così che trionfa l’infotainment.