La molecola di Carl Djerassi ha prodotto la più grande rivoluzione del XX secolo. Rompendo ogni vincolo biologico tra sesso e riproduzione, ha permesso a tutti di realizzare la propria sessualità

Il 30 gennaio scorso, nella sua casa di San Francisco, negli Stati Uniti, all’età di 91 anni, è morto Carl Djerassi. Professore emerito dell’università di Stanford, chimico valente, amava la scrittura e il teatro, ma conosciuto al grande pubblico soprattutto come il “padre della pillola”. E, di conseguenza, come lo scienziato che ha contribuito in maniera decisiva alla più grande rivoluzione del XX secolo, la rivoluzione sessuale.

Di origine ebraiche, Carl Djerassi era nato a Vienna il 29 ottobre 1923. Suo padre, Samuel, era un dermatologo, specialista di malattie sessuali. La madre, Alice Friedmann, era medico e dentista. Il ragazzo fu costretto a lasciare l’Austria nel 1938, quando Adolf Hitler impose l’Anschluss: l’annessione. E con essa le leggi razziali. Insieme con la madre, Carl raggiunse gli Stati Uniti, dove, nell’anno 1945, conseguì il PhD in chimica presso l’Università del Wisconsin. Iniziò poi a lavorare con la Ciba nel New Jersey. Quattro anni dopo si trasferì presso un’altra azienda, la Syntex, come direttore associato per la ricerca medica nei laboratori di Città del Messico. E proprio nella capitale messicana mise a punto quella che il settimanale The Economist ha definito “l’invenzione del secolo”. In realtà, i primi lavori a Città del Messico riguardano la sintesi del cortisone. Ma ben presto, con i suoi collaboratori, Carl Djerassi sintetizza il norethisterone, un progestinico che, insieme all’etinilestradiolo, è in grado di diminuire fin quasi ad annullare la fertilità  femminile in maniera reversibile.

È il 1951 e l’austriaco ha messo a punto il primo contraccettivo orale. In realtà occorre del tempo prima che la molecola messa a punto da Carl Djerassi, in collaborazione con Luis Miramontes and George Rosengkranz, diventi “la pillola”. Verrà sperimentata clinicamente nel 1954 a Puerto Rico dai medici John Rock, Celso-Ramon Garcia e Gregory Pincus. Occorre attendere il 1957 perché la Food and Drug Administration autorizzi la vendita del nuovo farmaco per scopi limitati e poi, nel 1960, come anticoncezionale con il nome di Enovid.

È solo a partire da questa data che la pillola inizia a essere distribuita negli Stati Uniti e in tutto il mondo, con effetti culturali e sociali molteplici e senza precedenti: sui costumi sessuali, sulla emancipazione femminile, sul controllo delle nascite. E già perché la combined oral contraceptive pill (Cocp) di Djerassi, più semplicemente “la pillola”, se assunta regolarmente da una donna – come spiega Carlo Flamigni in un suo libro, Il controllo della fertilità – ne inibisce l’ovulazione; modifica il muco cervicale, rendendolo ostile alla risalita dei nemaspermi; induce mutamenti endometriali rendendo più difficile l’impianto dell’embrione; altera il trasporto nelle tube dell’ovocita e dell’embrione. In pratica riduce drasticamente la fertilità della donna con diversi meccanismi indipendenti, il che rende “la pillola” un contraccettivo molto sicuro, molto più di ogni altro sistema usato in precedenza. Inoltre costa poco, è facile da assumere ed è sganciata dal rapporto sessuale.

È proprio quanto molte donne si aspettano, in un periodo, gli anni 60 del secolo scorso, in cui le società occidentali si accingono a profonde trasformazioni negli stili di vita e nella domanda di nuovi diritti di cittadinanza. È per tutto questo che la Cocp ha un immediato e clamoroso successo e diventa “la pillola”: nel 1961 negli Usa la assumono già 400.000 donne; che salgono 1,2 milioni nel 1962 e a oltre 3,5 milioni nel 1963. Oggi in tutto il mondo la assumono oltre 100 milioni di donne.

In realtà Carl Djerassi e molti degli scienziati che hanno contribuito alla sintesi della molecola e poi ai test clinici, guardano alla pillola come a uno strumento per il controllo delle nascite. Da molto tempo è attivo negli Stati Uniti un movimento decisamente preoccupato per la crescita della popolazione mondiale. Molti temono quella che definiscono, senza mezzi termini, “the population bomb” : una crescita demografica incontrollata che porterà al rapido esaurimento delle risorse sul pianeta. Una bomba che è già causa, pensano, di povertà e di miseria. E si danno da fare per disinnescarla, questa bomba. Tra i più attivi ci sono i membri dell’International Planned Parenthood Federation, presieduta da una signora molto attiva: Margaret Higgins Sanger. Ed ecco cosa scrive Margaret Sanger alla biologa Katharine Dexter McCormick: «Penso che nei prossimi venticinque anni il mondo o almeno la nostra civiltà dipenderanno da un contraccettivo semplice, economico e sicuro utilizzabile nei quartieri più provati dalla povertà, nella giungla, dalle persone più ignoranti».

Ecco, la pillola di Djerassi – come ha ricordato Elaine Tyler May in un libro del 2011: America and the Pill: A History of Promise, Peril, and Liberation – risponde esattamente a questa domanda presente nella società americana: il controllo delle nascite. La pillola corrisponde a pieno a queste aspettative. Contribuendo a un netto calo della natalità. In Europa, per esempio, il numero di figli per donna nel 1960 è di 2,6. Quarant’anni dopo è sceso a 1,5.  Non è stata certo solo la molecola di Djerassi ha determinare questo cambiamento demografico, ma certo “la pillola” ha dato il suo contributo. Certo, né Djerassi né gli altri scienziati e medici avrebbero mai pensato che la pillola sarebbe diventata un fattore importante di emancipazione femminile.

Ben presto – e anche superando una certa diffidenza dei movimenti femministi – la pillola si rivela, infatti, un fattore di liberazione. Un duplice fattore di liberazione. Un fattore di liberazione e di auto-determinazione della donna. Per la prima volta nella storia dell’umanità, le donne possono controllare in maniera piena la propria sessualità e la propria disponibilità alla riproduzione. Ne deriva, come conseguenza, non solo una maternità più responsabile – i figli sono voluti, e non giungono indesiderati – ma la possibilità di scegliere cosa fare della propria vita, di impegnarsi nel lavoro, nella carriera, nella società. la pillola contribuisce ad aumentare gli spazi di libertà delle donne e, di conseguenza, contribuisce ad aumentare la consapevolezza dei propri diritti. La molecola di Djerasssi accompagna, così, la più grande rivoluzione del XX secolo, quella femminile, appunto.

Non è una molecola taumaturgica, naturalmente, quella di Djerassi. Non basta assumere la pillola per liberare la donna. Per molti anni le donne occidentali l’hanno presa di nascosto, per tema dello stigma che accompagna chi tra loro rivendica esplicitamente il diritto a una piena e consapevole e libera sessualità. E tuttora in molti Paesi sparsi per il mondo le donne assumono la pillola, ma restano in una condizione di subordinazione.

Non c’è determinismo, nelle faccende umane. Possiamo dire, tuttavia, che la pillola è un co-fattore di liberazione. E questa sua caratteristica emerge con buona evidenza nell’altra rivoluzione che accompagna quella demografica e quella femminile e, in parte almeno, si sovrappone loro: la rivoluzione sessuale. La molecola di Djerassi, infatti, consente di disaccoppiare completamente il sesso dalla riproduzione. E consente, così, di rendere attuale quella tensione potenziale che già animava, negli anni 60 del secolo scorso, le società occidentale. La domanda, non solo femminile ma soprattutto femminile, di vivere con gioia e in libertà la propria sessualità, rompendo i vincoli biologici.

Molti sono stati i co-fattori che hanno contribuito alla rivoluzione sessuale. Ma sarebbe un errore trascurare il ruolo, per molti versi decisivo, del  contraccettivo semplice, economico e sicuro messo a punto nel lontano 1951 da Carl Djerassi.

Mai il chimico si sarebbe aspettato che quella sua molecola avrebbe avuto così vasti e clamorosi effetti. Lui non amava essere definito “il padre della pillola”. Ma la pillola ha cambiato anche lui. Lo ha costretto a ripensare la scienza e il ruolo sociale degli scienziati. Lo ha in qualche modo indotto a dedicarsi non solo alla chimica e alla carriera universitaria, ma anche alle lettere e al teatro. Giudicati strumenti essenziali per restituire gli scienziati e la scienza stessa al mondo. Non è un caso se in una delle sue numerose opere, An Immaculate Misconception, analizza tutti gli effetti sociali della contraccezione orale, lui che l’aveva presa in considerazione solo come antitodo alla “population bomb”. In un altro dei suoi lavori, per così dire umanistici, è il caso di Oxygen, scritto con il collega chimico Roald Hoffmann, Djerassi propone il teatro come una forma avvincente di vera e propria didattica della scienza. Non capita tutti i giorni che un grande scienziato diventi anche un grande scrittore e uomo di teatro. Né capita tutti i giorni che un rivoluzionario rappresenti in teatro la sua rivoluzione. Nella prefazione della sua autobiografia,  del 1992, Carl Djerassi scrive: «Gli scienziati non devono essere necessariamente degli specialisti in senso stretto, che comunicano in un linguaggio incomprensibile nel chiuso dei loro laboratori alle prese con soggetti lontani dalle preoccupazioni quotidiane». Al contrario, gli scienziati «possono mostrare curiosità a tutto campo, ed essere ricercatori e pensatori in ogni dimensione intellettuale e, nel medesimo tempo, essere coinvolti sui temi sociali più caldi».