La chitarra è un dolce tormento, racconta il maestro che intreccia le tradizione nelle trame finemente ricercate della sperimentazione.

Il duende flamenco attraverserà l’Italia sulle corde di Vicente Amigo. Dopo l’Auditorium Parco della Musica di Roma il 10 marzo sarà all’ObiHall di Firenze e il 12 al Teatro Duse di Bologna.

Il mini tour si concluderà all’Auditorium Verdi del Conservatorio di Milano il 14: quattro date per celebrare, sulle sonorità flamenque, i suoi 25 anni di carriera. Sul palco Vicente torna alla formazione originaria accompagnato da Añil Fernández (Seconda Chitarra), Paquito González (Percussioni), Rafael de Utrera (Cantaor) e Dani Navarro (Bailador).

Maestosi interpreti del genere andaluso, dunque. Tuttavia la protagonista sarà indiscutibilmente lei, la sua chitarra flamenca, nota in tutto il mondo per il suo stile inconfondibile, trascinante e pulitissimo al tempo stesso, acuto ma conturbante e contemporaneamente dolcissimo: «La chitarra è un dolce tormento», racconta il maestro che intreccia le tradizione nelle trame finemente ricercate della sperimentazione.

Non piacciono le etichette, al chitarrista sevillano che imbracciò “l’arma” a soli 8 anni: «La mia musica come una specie di fusion senza etichette. E lo è perché il mio modo di sentire è così. Io cammino per strada e mi possono interessare le cose più differenti e dallo stile più diverso. Così è la mia musica», racconta, «cerco di trovare la mia personalità. Devi confrontarti con queste cose e rischiare con naturalezza».

Questo consente l’esplorazione dei confini: «La chitarra è in un momento brillante. I chitarristi di oggi sono molto preparati. Il flamenco sta dando molto alla musica e sta avvicinando persone con culture musicali differenti. E non è perché è una musica esotica, ma perché è una musica di verità».

La vita, il proprio modo di risponderle, il sentido (il “sentire”) personale: questo è il flamenco, percepibile in ogni intreccio e strisciata sulla chitarra di Amigo. Che tiene sempre in mente (e nella cassa di risonanza) un cardine: il radicamento al suolo, alla terra, alle origini del flamenco, com’è più che evidente nel titolo del suo ultimo album, Tierra: «Quando io suono, suona anche la mia terra, l’Andalucia».

Impicciarsi di come funzionano le cose, è più forte di lei. Sarà per questo - o forse per l'insanabile e irrispettosa irriverenza - che da piccola la chiamavano “bertuccia”. Dal Fatto Quotidiano, passando per Narcomafie, Linkiesta, Lettera43 e l'Espresso, approda a Left. Dove si occupa di quelle cose pallosissime che, con suo estremo entusiasmo invece, le sbolognano sempre: inchieste e mafia. E grillini, grillini, grillini. Dalla sua amata Emilia-Romagna, torna mestamente a Roma, dove attualmente vive.