Paolo Carbone è uno dei cinque soci della Srl agricola che da circa un anno produce la birra Hordeum nella ex Centrale del latte alle porte di Novara.

Prendi l’orzo e il riso, coltivati nel Parco del Ticino, aggiungi un gruppo di persone appassionate di qualità e sostenibilità e un depuratore unico nel suo genere: ottieni il primo birrificio artigianale a Km zero d’Italia.

Paolo Carbone, 36enne informatico con master in Tecnologie birrarie a Perugia, è uno dei cinque soci della Srl agricola che da circa un anno produce la birra Hordeum nella ex Centrale del latte alle porte di Novara. «Il primo passo è stato “riusare” questo pezzo di storia di città – racconta Carbone -, ma noi vogliamo che tutta la filiera sia sostenibile ». Così la squadra si è messa al lavoro, ciascuno con le sue competenze e specificità, per ottenere una birra prodotta con materie prime locali, caratterizzandola con i cereali raccolti nei campi della zona, come il riso venere o il carnaroli. Per giunta a prezzi ridotti grazie alla distribuzione prevalentemente locale (anche attraverso lo spaccio aziendale) e alla disintermediazione.

Anche per ottenere il malto ci si sta attrezzando. «Per ora lavoriamo il nostro prodotto in una malteria austriaca, l’unica che ci garantisce la tracciabilità del nostro orzo, ma contiamo al più presto di aprirne una nostra qui», riprende l’agrobirraio. I progetti di Hordeum non si fermano alle diverse varietà di birra. Un filone di sperimentazione in collaborazione con il Centro di ricerca sulla birra di Perugia ha portato a mettere a punto una bevanda fermentata fatta esclusivamente con il riso.

«Probabilmente non potremo chiamarla birra di riso, ma si tratta comunque di un prodotto eccellente per le qualità organolettiche, per l’assenza di glutine e soprattutto perché sostiene e diversifica una produzione di eccellenza del territorio, il riso appunto, minacciata dalla concorrenza di altri Paesi che non puntano sulla qualità ma soltanto sul prezzo ridotto. Noi invece vogliamo che assieme ai nostri prodotti “fermentino” anche le specificità e l’economia sostenibile del territorio». Fiore all’occhiello, la depurazione delle acque di lavaggio delle cisterne, che avviene grazie a una sorta di lavatrice con 430 chili di tappi di plastica e colonie batteriche che “mangiano” le impurità. Il depuratore costa come uno tradizionale, ma consuma un decimo di energia e l’acqua che ne esce può essere usata per irrigare.

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