A 50 anni dal Race Relation Act le strade inglesi saranno percorse da cortei che chiedono la chiusura immediata dei centri di detenzione.

«Ha in mente gli anni ‘50? La segregazione razziale, la discriminazione nei luoghi pubblici? Beh, è quello che viviamo oggi». Urla, rumori metallici e cancelli che sbattono irrompono nell’accento british di Riaz, nome di fantasia. «Sa, c’è un grande via vai perché ancora per un’ora, fino alle nove di sera, possiamo stare nei cortili, dove la protesta continua, poi ci chiudono nelle camerate per dodici ore».

In occasione della Giornata Mondiale per l’eliminazione delle discriminazioni razziali, Left del 21-27 marzo racconta degli undici Immigration Removal Center, i Centri di identificazione e espulsione del Regno Unito, e dei richiedenti asilo messi ai margini nei Paesi Bassi. Per continuare, come ci ha insegnato Liliam Thuram nel servizio di copertina del numero 7/2015, a scendere in campo per l’uguaglianza.

«Sono arrivato in UK più di trent’anni fa, ho una moglie inglese e tre figli, ma ora sono qua, in un posto che è peggio di un carcere, senza aver commesso nulla». Riaz è uno dei quasi 300 internati di Colnbrook, non lontano dall’aeroporto di Heathrow. Parla poco di sé, pur avendo vissuto momenti difficili. «Lo scorso weekend mi hanno chiuso nella stanza di segregazione, qui la chiamano proprio così, perché avevo organizzato una protesta non violenta nei cortili. Sono rimasto 36 ore senza nulla».

Dopo nove mesi a Harmondsworth, il più grande centro di detenzione europeo per migranti, anch’esso adiacente all’aeroporto londinese, Riaz è stato trasferito a Colnbrook proprio per evitare che organizzasse altre proteste. Ma non si è fatto intimidire, e negli ultimi giorni ha coinvolto altri 70 trattenuti, «se siamo uniti – dice – non possono metterci tutti in segregazione».

«La protesta sta crescendo – fuori e dentro i centri – e c’è chi protesta urlando slogan, chi facendo sciopero della fame, chi con atti di autolesionismo. Siamo in una situazione critica, e la gente è disposta a tutto». Fra i compagni di camerata di Riaz ci sono richiedenti asilo, lavoratori a cui è scaduto il permesso di soggiorno, persone con problemi di salute. Uomini di paesi diversi, arrivati nel Regno Unito senza visto o fermatisi oltre la scadenza dei documenti. «Pensate che c’è un uomo che ha più di 70 anni, ha avuto un attacco di cuore pochi giorni fa e lo tengono ancora qui, senza visitarlo, in un posto freddo e sporco». A rendere più difficile la vita nei centri è l’incertezza sul proprio futuro. «Sono un irakeno di Mosul – spiega Riaz – dove ora c’è Isis. Là non mi rimanderanno, spero, ma allora perché mi tengono qui, in queste condizioni? E per quanto tempo ancora?».

La Giornata contro le discriminazioni nasce nel 1966 per ricordare 69 manifestanti anti-apartheid uccisi dalla polizia sudafricana nel ‘60. Il tema scelto dalle Nazioni Unite per il 2015 è “Imparare dalle tragedie del passato per combattere oggi la discriminazione razziale”. A 50 anni dal Race Relation Act, la prima legge della Corona contro il razzismo, che offriva alcune tutele ai migranti arrivati dalle colonie, le strade inglesi saranno percorse da cortei che chiedono la chiusura immediata dei centri di detenzione. In Italia sono cinque i CIE attivi e circa 290 le persone trattenute a marzo 2015.