Nel 1919 nasce quella che diventerà la squadra di calcio più titolata del Paese, ancora saldamente in mano ai francesi. Sono due amici al bar a prendere la storica decisione.

A Tunisi è un freddo pomeriggio di gennaio. Nel quartiere di Bab Souika, due amici siedono al solito caffé sorseggiando l’omonima droga bollente dentro bicchierini di vetro spesso. Anche la nuvola di fumo di sigarette è spessa eppure, come fosse una parete di vecchie ragnatele, viene fatta a pezzi dai due ragazzi a forza di parole. Uno si chiama Mohamed Zouaoui, 23 anni, sbarbato, capelli castani, fronte alta. Suo padre ha origini algerine della Cabilia e, come tutti i berberi, ha imparato a convivere con gli arabi già da diversi secoli. Ma i francesi non li ha mai sopportati. E infatti il figlio ha dovuto studiare prima nella scuola coranica e poi nella moschea di Al-Zaytuna finché un giorno ha detto basta e ha cominciato a mantenersi come calzolaio, mestiere imparato nel suq. Mohamed si veste soltanto all’occidentale, è diventato un buon centravanti e, per semplificarsi la vita, parla anche la lingua dei colonizzatori. Schiaccia con le dita il cadavere di una sigaretta senza filtro nel piattino opaco di stagno che funge da posacenere e guarda l’amico negli occhi: la decisione è presa. Non si torna indietro.

L’altro è Hedi Kallel, 19 anni appena fatti, gran difensore e tanta voglia di giocare in un grande club. E la decisione presa è proprio quella di fondare una squadra di calcio. È il 1919, ancora presto perché la Federazione di Parigi divida l’Algeria nelle tre leghe di Algeri, Orano e Costantina e perché lasci che Marocco e Tunisia possano dar vita ciascuna al proprio campionato. Tutti i tornei disputati finora sui campi di Tunisi non hanno mai avuto in palio altro se non il primato cittadino. Un primato conteso, ogni anno in maniera sempre più aspra, dalle solite squadre: il Racing, lo Sporting e lo Stade Gaulois del ricco Henri Smadja. Ultimamente c’è anche l’Union Sportive, frutto della fusione imposta dal governo tra lo Stade Tunisois, espressione della comunità ebraica, e lo Stade Africain, quella con più tifosi nella maggioranza araba. La minoranza italiana, invece, deve ancora organizzarsi.

«Le nostre maglie avranno colori della vittoria e, quando la Tunisia sarà finalmente indipendente, diventeremo il club più forte del Paese». Hedi ascolta in silenzio e Mohamed continua: «I francesi non ci rifiuteranno la registrazione, vedrai, anche a costo di nominare presidente Louis Montassier in persona», «Il segretario del governo?! Tu sei pazzo!» risponde Hedi con occhi brillanti e con il caffé arrivato al fondo. «Non sono pazzo. Un giorno gli stadi saranno di tutti. Così come saranno di tutti i cinema, i teatri, le scuole, le spiagge, le strade e le piazze. E il campionato sarà quello di una Tunisia nuova e diversa. Dimmi un po’, tu le vedi le donne qui dentro?». Kallel si guarda intorno e non risponde. È ora di andare a casa. Zouaoui lascia due monete sul tavolo, si alza, batte la mano sul cuore per ringraziare il padrone ed esce.

Anche Hedi si alza, saluta tutti e segue l’amico più grande. «Ma al nome della squadra ci hai pensato?». I due sono ormai all’esterno, circondati dal buio della sera. Mohamed accende un’altra sigaretta proteggendo con la mano il fiammifero dal maestrale: «Si chiamerà come questo posto». Hedi sorride un’altra volta mentre intorno a loro la città è illuminata alpunto giusto e mentre il vento continua a far dondolare l’insegna. L’insegna del Cafè de l’Esperance.