Il ddl “anticorruzione” licenziato al Senato si tratta del minimo istituzionale proponibile a fronte di un cancro che sta corrodendo lo Stato. Le normative in materia di appalti e lavori pubblici devono essere riviste radicalmente.

Non considero il ddl “anticorruzione” licenziato al Senato un’arma decisiva alla dilagante penetrazione delle mafie e della corruzione nelle istituzioni italiane. Al contrario: è la risposta non sufficiente alla richiesta di trasparenza che sale dal Paese, di un governo sinora debole su questo fronte.

Certo non vanno taciute alcune novità positive: sanzioni più dure, reintroduzione del falso in bilancio (seppur in forma tenue), sconti di pena per chi collabora nei procedimenti per corruzione. Tuttavia, si tratta del minimo istituzionale proponibile a fronte di un cancro che sta corrodendo lo Stato. Renzi sa che la gente è furibonda per il livello percepito di corruzione nel Paese. E la realtà, per quella che è la mia esperienza prima di magistrato e ora di sindaco, è peggiore di quello che si percepisce. Le normative in materia di appalti e lavori pubblici devono essere riviste radicalmente.

Ci vogliono regole chiare e semplici per attribuire ai poteri ordinari la forza di decidere in modo responsabile in tempi brevi. Si deve interrompere il ricorso a poteri commissariali che agiscono in deroga a leggi ordinarie. Non a caso, i commissariamenti sono tanto desiderati dal “sistema” malavitoso. Serve interrompere le concessioni di lavori pubblici sine die con costi che lievitano ad libitum, con una commistione pericolosa tra soggetti diversi; limitare le varianti in corso d’opera con operazioni opache su ribassi, lievitazioni, costi e ricorsi a sub-appalti; introdurre trasparenza nella scelta delle commissioni di gara; la rotazione delle ditte all’interno di elenchi redatti con procedure informatizzate unitamente ad Anac per i lavori di cosiddetta somma urgenza; ridurre al minimo esternalizzazioni di servizi pubblici in settori come quello dei rifiuti. E per verificare la correttezza dell’utilizzo dei fondi pubblici, soprattutto europei, si devono rafforzare i controlli sostanziali, non solo quelli formali. Oggi il “sistema” beneficia di consulenti qualificati che accertano che la forma sia sempre rispettata. E così è: apparentemente i lavori sono in regola. Poi, però, cadono viadotti, il materiale è di qualità scadente, l’opera resta inutilizzata.

Decisiva dunque è l’analisi della qualità dell’opera, più che quella della sua realizzazione. Corruzioni e mafie sono diverse da venti anni fa. Oggi, valigette di denaro e lingotti d’oro sotto il cuscino sono modalità d’eccezione. Il sistema corruttivo agisce invece movimentando denaro all’estero in modo formalmente ineccepibile, utilizza schermi societari, fondazioni, attribuisce consulenze, incarichi, posti di lavoro, finanche ruoli istituzionali. Negli ultimi anni nelle indagini della magistratura sul sistema criminale modello P2 sono emerse le medesime condotte e spesso gli stessi nomi.

Dimostrando che il “sistema” è dentro lo Stato, ne cura gli ingranaggi, arriva ovunque. Ne fanno parte anche persone che ricoprono ruoli di vertice all’interno di istituzioni e organi di controllo, forze dell’ordine e magistratura comprese. E sono pericolosissimi perché hanno in dotazione proiettili istituzionali che distruggono le cellule sane dello Stato, utilizzando la legalità formale del loro potere. Rimangono quasi sempre impuniti. Agiscono nell’ombra ma sono visibili, hanno abiti istituzionali. Nulla si viene a sapere del loro ruolo, della loro azione, della collusione pervasiva e così il cancro si allarga, dilaga. Senza di loro le mafie di strada sarebbero già state debellate. La lotta decisiva non passa, a mio avviso, attraverso super poteri commissariali o propaganda governativa, ma sostenendo quella parte di Stato che quotidianamente cerca di interrompere la distruzione delle cellule sane.

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