Michela Marzano dice di voler abbandonare la politica. Le chiedo di restare (non nel Pd, s’intende, ma in politica) per due motivi: uno personale e uno politico.

Avevo cominciato con un tweet, ma non basta, Michela Marzano. Leggo con dispiacere le sue parole nell’intervista di Vittorio Zincone su Sette, in cui dice di voler abbandonare la politica. Le chiedo di restare (non nel Pd, s’intende, ma in politica) per due motivi: uno personale e uno politico.

Il motivo personale si chiama passione per la filosofia. Maneggio ultimamente la frase di Ermanno Bencivenga “la filosofia non è qualcosa che si dice, ma qualcosa che si fa” e quando lei nel 2013 decise di candidarsi pensai che era esattamente questo: dimostrare che “vivere significa essere nell’azione”. Avrebbe messo al servizio di questo scapestrato Paese le sue idee, i suoi contenuti (che personalmente stimo moltissimo) per provare a cambiarlo. Partendo dai diritti civili, che più le (ci) stanno a cuore, nella profonda convinzione che l’io non esista senza il tu e che “la vera uguaglianza è quella che riconosce e valorizza le differenze individuali, senza negare a nessuno un accesso paritario ai diritti”. Partendo da questi, per allargarsi a un’azione politica convinta, partecipata e appassionata (e mi permetta di dirle, in quanto laureata in filosofia, che so di cosa parlo quando dico “passione” e quando la riconosco in persone come lei). E proprio per questo, proprio per il senso di missione filosofica che l’avrà spinta a tornare in Italia e ad aprirsi alla politica rispetto al mondo accademico, credo sia un vero peccato che lei abbandoni.

Il secondo motivo è prettamente politico: nell’intervista lei parla di un’alternativa di sinistra chiedendosi “Ma ora dove guardo?”. Io avrei un suggerimento: l’alternativa che Civati vuole costruire. E mi arrogo il diritto di dire che le parole di Durkheim – che lei ricorda nel suo Il diritto di essere io – sono proprio le parole sottese all’idea che Civati vuole mettere in atto: “nella società contemporanea si può parlare di solidarietà organica, cioè come lei spiega – ognuno può finalmente esistere indipendentemente dagli altri, anche se è con gli altri che deve collaborare perché la società possa sussistere”. E lei aggiunge, “in teoria”. Ecco. Civati vuole trasformare questa teoria in pratica. Deluso, come lei, da questo Partito Democratico che di democratico non ha più niente, scende dal carro dei vincitori e assieme a un gruppo nutrito di persone vuole ricostruire ciò che costantemente si cerca di demolire.

A titolo di nulla, in qualità di semplice laureata in filosofia, quasi consulente filosofica, le chiedo di ripensarci.

Abbiamo bisogno della sua testa. 

E se davvero “la vita non ha un significato univoco e ha il senso che ciascuno di noi è capace di darle”, spero che lei voglia ancora combattere con noi per provare a trovarne anche uno unitario, condiviso. E politico. Per restituire dignità a questa parola.

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