Oggi ci si appella al voto utile per esortare i cittadini a non “sprecare” il loro voto buttandolo nelle mani di minoranze che disperderebbero l’unità necessaria per governare. Ma si può definire un voto “sprecato”? Come dire: tu che sei convinto di votare per qualcuno e per qualcosa stai sprecando il tuo tempo, il tuo voto è inutile.

Ormai è abitudine comune cercare qualcosa su google, così comune che ne è nato un verbo: googlare. Allora googliamo la parola utile e clicchiamo su immagini. Ecco cosa appare: legno e materiali da costruzione, arnesi, loghi di banche, brand, statistiche. Neanche un’immagine che rappresenti una scheda elettorale. Bizzarro. Non si fa che parlare di voto utile e lo strumento più inflazionato per la ricerca di informazioni non riporta nessun riferimento alle elezioni. Un caso?

Oggi ci si appella al voto utile per esortare i cittadini a non “sprecare” il loro voto buttandolo nelle mani di minoranze che disperderebbero l’unità necessaria per governare. Ma si può definire un voto “sprecato”? Come dire: tu che sei convinto di votare per qualcuno e per qualcosa stai sprecando il tuo tempo, il tuo voto è inutile. Che non significa altro che: sei inutile. E questo è il primo presupposto da considerare. Sei inutile perché la tua idea di futuro e la tua speranza finiranno nelle mani di chi perde, dallo a chi ha più probabilità di vincere. Secondo presupposto: il tuo voto ha senso solo se fa vincere.

Il terzo presupposto ha a che fare con l’idea di collettività. Appellarsi al voto utile (stiamo assecondando l’idea che si possa davvero parlare di voto utile, un po’ come si fa in matematica con le dimostrazioni per assurdo) sembra quasi esortare a eseguire un calcolo. Moltiplico l’utilità per la probabilità e da qui ne nasce la scelta da fare (secondo la teoria della decisione, si chiama massimizzazione dell’utilità). I criteri per prendere una decisione diventano numeri e la scelta il frutto di un calcolo. Davvero, quindi, votare significa calcolare?

Il quarto presupposto mette in questione l’assenza di contenuti. Relegare l’esercizio del voto a un mero calcolo utilità-probabilità significa non invitare l’elettore a ragionare nel merito delle proposte programmatiche della propria candidatura.

Il quinto e ultimo presupposto riguarda la dimensione della collettività. L’inganno dell’esortazione al voto utile è questa: uniamoci, creiamoci come forza, non dividiamoci, non disperdiamoci e votiamo tutti quanti per qualcuno. E detta così sembra davvero che l’unione faccia la forza. L’inganno, invece, consiste proprio in questo: chiedere il voto utile cela una soddisfazione soggettiva e individuale. Non tiene conto del tutti, ma tiene conto dell’uno, cioè di chi lo chiede. Il punto di vista viene spostato dalla parte del politico e non dell’elettorato. Io ti chiedo di non votare per x e di votare per me. Quando, invece, io dovrei chiederti di votare per chi tu vuoi e chi tu ritieni giusto.

Quindi, voto utile significa: se voti per x il tuo voto è inutile, se voti per me hai maggior probabilità di vincere, se calcoli bene capirai da solo che conviene, non importa quello che sto proponendo, ascolta me e non ascoltare te.

Strano. Io ho sempre pensato che l’unica utilità del voto fosse poter scegliere da chi essere rappresentata. È necessario, allora, ragionare su questi cinque presupposti, perché sono un non-detto che pesa, che bisogna portare alla luce.

E dobbiamo farlo prima del 31 maggio.

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