L'editoriale di Luca Sappino sul nuovo numero di Left in edicola da oggi.

Ha vinto Renzi, manco a dirlo, a calcio balilla. Lunedì sera il premier è andato alla festa dell’Unità di Roma. Ci sarebbe dovuto andare il giorno dopo, martedì, ma per evitare le annunciate e numerose contestazioni (i soliti docenti, ma non solo) ha pensato che era meglio fare una carrambata, e andare senza dirlo a nessuno, anticipando, senza neanche avvisare la stampa, che tanto basta il fido Filippo Sensi, il portavoce, con il suo smartphone: una foto su instagram e via, rimbalzi su tutti i giornali e i tg.

Biliardino #festaunita #roma

Una foto pubblicata da Nomfup (@nomfup) in data:

Renzi – lo avrete visto – ha giocato una partita a biliardino. In squadra con lui c’era Luca Lotti, il sottosegretario. Dall’altra parte c’era Matteo Orfini, in una riedizione dello scontro alla playstation, e Luciano Nobili, dirigente locale del Pd, renzianissimo. È finita 10 a 8. Il dibattito? Annullato, e tanti saluti ai militanti del partito, che magari ci tenevano: a Renzi non mancano certo le occasioni per far giungere ovunque il suo verbo, e questo solo conta. Sono le ore in cui si chiude il rimpasto di Ignazio Marino, la manovra che ha trasformato il governo della città di Roma in un monocolore del Pd. E la foto di Renzi che gioca contro Orfini ha la stessa identica funzione di quella diffusa in occasione delle regionali, la notte in cui arrivavano risultati non certo positivi. Il messaggio è: «Noi siamo sereni, perché continuate a preoccuparvi?» E invece noi qui ci preoccupiamo ancora. Ci preoccupano i tagli alla sanità, che aumentano le disuguaglianza molto più di quanto non le riduca il taglio delle tasse sulla prima casa (altro annuncio che ci preoccupa comunque, e lo spiega bene Emanuele Ferragina, a pagina 21). Ci preoccupa che in Germania crescano i movimenti anti islamici (c’è un bel reportage da Monaco, a pagina 56) e che qui nessuno replichi a Giorgia Meloni quando dice che il giornalista Pietrangelo Buttafuoco non può essere il candidato del centrodestra in Sicilia perché «convertito all’Islam». Ci preoccupa ovviamente lo stesso varo della nuova giunta capitolina.

Perché Marino non è riuscito a cavare poi molto e – tolto l’innesto alla scuola del “tecnico” Rossi Doria, costato comunque il posto al competente Paolo Masini – la scelta di Marco Causi al bilancio e Stefano Esposito ai trasporti, lascia molti dubbi. I due, per cominciare, non intendono dimettersi da parlamentari: è vero, non prenderanno il gettone da assessore, ma due cose insieme, due cose così, tipo risanare l’Atac e stare appresso alle riforme, ci riesce difficile immaginare di poterle fare bene. Poi, del primo possiamo notare che è stato protagonista della gestione Veltroni, sempre al bilancio, giudicata dallo stesso Marino «allegra»; e del secondo potremmo comporre una carrellata di gaffe a condimento dell’entusiasta militanza ProTav.

Siccome Marino ha aperto alla privatizzazione di Atac (l’azienda dei trasporti romana) anche questo ci preoccupa. Ci preoccupa, infine, che pure a Roma non esista più il centrosinistra, con Sel ridotta all’appoggio esterno. La scelta è strategica e non esclusiva- mente imposta dal Pd. Sel ha annusato l’aria di elezioni anticipate, che sono ancora lì, in agguato – e il fatto che Causi ed Esposito tengano la doppia poltrona fa pensare a un incarico a breve termine, e ha deciso che alle amministrative di primavera, insieme agli altri cocci della sinistra, si presenterà in alternativa al Pd, alme- no al primo turno. Ma è comunque triste che Marino di fatto sia stato commissariato, e che il modello del partito della Nazione, che fa da solo, anche a costo di imbarcare Verdini e di fare tutte le riforme scritte nel programma di Alfano, verrà applicato presto anche a Roma. Difficile, anche per chi ha difeso il sindaco, fare il tifo per la squadra di Renzi e Lotti.

[social_link type=”twitter” url=”http://twitter.com/lucasappino” target=”on” ][/social_link] @lucasappino

Sono nato a Roma, il 23 febbraio 1988. Vorrei vivere in Umbria, ma temo dovrò attendere la pensione. Nell'attesa mi sposto in bicicletta e indosso prevalentemente cravatte cucite da me. Per lavoro scrivo, soprattutto di politica (all'inizio inizio per il Riformista e gli Altri, poi per Pubblico, infine per l'Espresso e per Left) e quando capita di cultura. Ho anche fatto un po' di radio e di televisione. Per Castelvecchi ho scritto un libro, con il collega Matteo Marchetti, su Enrico Letta, lo zio Gianni e le larghe intese (anzi, "Le potenti intese", come avevamo azzardato nel titolo): per questo lavoro non siamo mai stati pagati, nonostante il contratto dicesse il contrario.