La campagna per le primarie democratiche e repubblicane entra nel vivo. Hillary Clinton comincia a spendere soldi per spot televisivi e giovedì prossimo i repubblicani tengono il loro primo dibattito televisivo. Cominciamo dall'ex senatrice di New York e dalle scelte fatte per convincere gli elettori delle primarie di Iowa e New Hampshire, primi Stati in cui si vota. I video da un minuto sono due e parlano la stessa lingua, uno è più biografico sentimentale, l'altro dice le stesse cose in forma di presentazione. La frase finale del primo è quella cruciale: “Quando ha avuto bisogno di una guida, di un aiuto (champion in inglese), ha trovato qualcuno – dice Hillary guardando nell’obbiettivo e parlando di sua madre, che è stata abbandonata dai genitori e ha cominciato a lavorare a 14 anni – Penso a tutte le Dorothy d’America, che combattono per le loro famiglie senza mai mollare. E’ per loro che faccio tutto questo”. Il tentativo di entrambi gli spot è chiarissimo: parlare alle donne, convincerle dell’idea che l’ipotesi di una di loro alla Casa Bianca sarebbe un grande trionfo simbolico e anche politico. E poi umanizzare la ex first Lady ed ex senatore di New York, che il suo grande problema è proprio quello: gli elettori non si fidano della sua sincerità, del suo non essere solo un animale della politica assetato di potere. I due spot da un minuto, destinati ai piccoli e determinanti mercati televisivi di Iowa e New Hampshire e sono il vero inizio della campagna elettorale: Clinton vuole evitare di trovarsi impantanata nel duello interno al partito. Se ad oggi Hillary ha scelto un profilo tutto programmatico, tenendo discorsi sulle condizioni di vita e il diritto di voto degli afroamericani – che è sotto attacco dopo una sentenza della Corte Suprema – su banche e finanza, sull’economia e sul riscaldamento globale, adesso è la volta di tornare alla persona, al candidato donna, figlia, nonna.
E così in un video si racconta delle umili origini per far dimenticare l’eccesso di successo a partire dagli anni 80 in poi e nell’altro si spiega come la storia della madre Dorothy sia la fonte di ispirazione delle grandi battaglie politiche della candidata presidente. Se nei discorsi e nelle uscite fatte fino a oggi Hillary aveva parlato molto alla base di Obama (minoranze, donne, Lgbt) con questi video ci si rivolge all’America media: Iowa e New Hampshire sono stati bianchi e sostanzialmente tradizionali (non conservatori) ed è bene parlare un linguaggio conosciuto. E tentare di rendere più simpatica la candidata antipatica per eccellenza, che nel secondo video ricorda come il suo spirito di servizio l’abbia spinta ad accettare l’incarico di Segretario di Stato nella prima amministrazione Obama dopo essere stata sconfitta alle primarie (non andò proprio così, ma questa è una pubblicità).
Nei sondaggi Hillary continua a distruggere qualsiasi concorrente democratico effettivo (Sanders, O’Malley, Webb) o potenziale, come il vicepresidente Biden, che sta attivamente ragionando su un’ipotesi di candidatura alle primarie. L’ipotesi di una candidatura del VP era considerata improbabile: l’ex senatore del Delaware non ha una base potenziale molto diversa da quella di Hillary, che tra l’altro conta tra i suoi collaboratori molte figure provenienti dallo staff di Biden. Certo è che in termini di raccolta fondi, visibilità e capacità di parlare in modo diretto e franco (a volte sopra le righe) il vicepresidente rappresenterebbe una sfide seria per Clinton. Meglio cominciare a lavorare da subito per connettersi con gli elettori dei primi Stati a votare: qui, soprattutto in New Hampshire gli ultimi sondaggi indicano Bernie Sanders, senatore di sinistra del Vermont a soli 10-15 punti di distanza. Molto, ma meglio non correre rischi, in caso di corsa di Biden i sondaggi sarebbero diversi, che Obama lo scelse proprio per raggiungere Stati e pezzi di società come quelli prevalenti in parti del New England o in regioni agricole come l’Iowa. democratici

(La media dei sondaggi sulle primarie democratiche secondo la pagina dedicata di Huffington Post)

Se la nomination democratica difficilmente regalerà sorprese, il discorso per il partito repubblicani è molto diverso. I sondaggi indicano da un mese la prevalenza di Donald Trump, magnate delle costruzioni e personaggio televisivo, capace di uscite scorrette su ogni tema, l’uomo dai capelli più ridicoli d’America raccoglie più consensi di quanto chiunque si aspettasse. Tutti sapevano che la sua candidatura avrebbe fatto rumore e che nelle prime settimane avrebbe funzionato – è l’effetto annuncio – ma la resistenza del candidato Trump non era prevedibile. Segno che alla pancia repubblicana il miliardario piace. E segnale preoccupante per tutti gli altri. Trump infatti non ha nessuna possibilità di riuscire a vincere le primarie e se i numeri dovessero continuare a essere dalla sua parte, tutti i poteri forti, l’establishment e i miliardari donatori si coalizzerebbero per trovare l’alternativa. In un campo con 17 candidati, con diversi conservatori che si fanno la guerra tra loro, un Jeb Bush che è il più forte e credibile ma non piace alla base e qualche candidato con potenzialità che ancora non ha bucato, Trump svetta sugli altri. repubblicani

(La media dei sondaggi sulle primarie repubblicane secondo la pagina dedicata di Huffington Post)

  Dietro Trump al momento c’è Scott Walker, governatore del Wisconsin e arci-nemico dei sindacati non ancora messo alla prova sulla scena nazionale. Poi Jeb Bush e, infine tutti gli altri. La forza di Bush e Trump sta nel loro portafogli, elemento determinante per chiunque voglia durare in una gara che potrebbe diventare una maratona: uno è straricco di suo e l’altro ha accumulato enormi contributi finanziari. Tutti gli altri, a meno che uno dei candidati non riesca a emergere e a coalizzare i conservatori, rischiano di non riuscire a essere competitivi in caso di guerra di trincea. Giovedì prossimo su FoxNews il primo dibattito tra i candidati repubblicani sarà un primo filtro: qualcuno che in questo momento non emerge nei sondaggi riuscirà a farsi notare, altri verranno condannati all’oblio nel giro di poche settimane. Attenzione però, per dare un qualche ordine al dibattito, Fox ha deciso di limitare la partecipazione a dieci candidati basandosi sui consensi raccolti nei sondaggi. Qualcuno insomma rischia di rimanere fuori anche prima che si cominci a giocare la partita nazionale. Quanto a Trump, se venisse fatto fuori in malo modo potrebbe sempre decidere di correre da solo come terzo candidato. A quel punto, se i candidati dei due grandi partiti fossero Jeb Bush e Hillary Clinton, il 2016 sarebbe una riedizione del voto del 1992 quando il miliardario Ross Perot garantì la vittoria di Bill contro Bush senior, strappandogli una parte del voto di destra. Ma questa è fantapolitica estiva. [social_link type="twitter" url="https://twitter.com/minomazz" target="on" ][/social_link]@minomazz

La campagna per le primarie democratiche e repubblicane entra nel vivo. Hillary Clinton comincia a spendere soldi per spot televisivi e giovedì prossimo i repubblicani tengono il loro primo dibattito televisivo. Cominciamo dall’ex senatrice di New York e dalle scelte fatte per convincere gli elettori delle primarie di Iowa e New Hampshire, primi Stati in cui si vota. I video da un minuto sono due e parlano la stessa lingua, uno è più biografico sentimentale, l’altro dice le stesse cose in forma di presentazione. La frase finale del primo è quella cruciale: “Quando ha avuto bisogno di una guida, di un aiuto (champion in inglese), ha trovato qualcuno – dice Hillary guardando nell’obbiettivo e parlando di sua madre, che è stata abbandonata dai genitori e ha cominciato a lavorare a 14 anni – Penso a tutte le Dorothy d’America, che combattono per le loro famiglie senza mai mollare. E’ per loro che faccio tutto questo”. Il tentativo di entrambi gli spot è chiarissimo: parlare alle donne, convincerle dell’idea che l’ipotesi di una di loro alla Casa Bianca sarebbe un grande trionfo simbolico e anche politico. E poi umanizzare la ex first Lady ed ex senatore di New York, che il suo grande problema è proprio quello: gli elettori non si fidano della sua sincerità, del suo non essere solo un animale della politica assetato di potere.
I due spot da un minuto, destinati ai piccoli e determinanti mercati televisivi di Iowa e New Hampshire e sono il vero inizio della campagna elettorale: Clinton vuole evitare di trovarsi impantanata nel duello interno al partito. Se ad oggi Hillary ha scelto un profilo tutto programmatico, tenendo discorsi sulle condizioni di vita e il diritto di voto degli afroamericani – che è sotto attacco dopo una sentenza della Corte Suprema – su banche e finanza, sull’economia e sul riscaldamento globale, adesso è la volta di tornare alla persona, al candidato donna, figlia, nonna.

E così in un video si racconta delle umili origini per far dimenticare l’eccesso di successo a partire dagli anni 80 in poi e nell’altro si spiega come la storia della madre Dorothy sia la fonte di ispirazione delle grandi battaglie politiche della candidata presidente. Se nei discorsi e nelle uscite fatte fino a oggi Hillary aveva parlato molto alla base di Obama (minoranze, donne, Lgbt) con questi video ci si rivolge all’America media: Iowa e New Hampshire sono stati bianchi e sostanzialmente tradizionali (non conservatori) ed è bene parlare un linguaggio conosciuto. E tentare di rendere più simpatica la candidata antipatica per eccellenza, che nel secondo video ricorda come il suo spirito di servizio l’abbia spinta ad accettare l’incarico di Segretario di Stato nella prima amministrazione Obama dopo essere stata sconfitta alle primarie (non andò proprio così, ma questa è una pubblicità).

Nei sondaggi Hillary continua a distruggere qualsiasi concorrente democratico effettivo (Sanders, O’Malley, Webb) o potenziale, come il vicepresidente Biden, che sta attivamente ragionando su un’ipotesi di candidatura alle primarie. L’ipotesi di una candidatura del VP era considerata improbabile: l’ex senatore del Delaware non ha una base potenziale molto diversa da quella di Hillary, che tra l’altro conta tra i suoi collaboratori molte figure provenienti dallo staff di Biden. Certo è che in termini di raccolta fondi, visibilità e capacità di parlare in modo diretto e franco (a volte sopra le righe) il vicepresidente rappresenterebbe una sfide seria per Clinton. Meglio cominciare a lavorare da subito per connettersi con gli elettori dei primi Stati a votare: qui, soprattutto in New Hampshire gli ultimi sondaggi indicano Bernie Sanders, senatore di sinistra del Vermont a soli 10-15 punti di distanza. Molto, ma meglio non correre rischi, in caso di corsa di Biden i sondaggi sarebbero diversi, che Obama lo scelse proprio per raggiungere Stati e pezzi di società come quelli prevalenti in parti del New England o in regioni agricole come l’Iowa.

democratici

(La media dei sondaggi sulle primarie democratiche secondo la pagina dedicata di Huffington Post)

Se la nomination democratica difficilmente regalerà sorprese, il discorso per il partito repubblicani è molto diverso. I sondaggi indicano da un mese la prevalenza di Donald Trump, magnate delle costruzioni e personaggio televisivo, capace di uscite scorrette su ogni tema, l’uomo dai capelli più ridicoli d’America raccoglie più consensi di quanto chiunque si aspettasse. Tutti sapevano che la sua candidatura avrebbe fatto rumore e che nelle prime settimane avrebbe funzionato – è l’effetto annuncio – ma la resistenza del candidato Trump non era prevedibile. Segno che alla pancia repubblicana il miliardario piace. E segnale preoccupante per tutti gli altri. Trump infatti non ha nessuna possibilità di riuscire a vincere le primarie e se i numeri dovessero continuare a essere dalla sua parte, tutti i poteri forti, l’establishment e i miliardari donatori si coalizzerebbero per trovare l’alternativa. In un campo con 17 candidati, con diversi conservatori che si fanno la guerra tra loro, un Jeb Bush che è il più forte e credibile ma non piace alla base e qualche candidato con potenzialità che ancora non ha bucato, Trump svetta sugli altri.

repubblicani

(La media dei sondaggi sulle primarie repubblicane secondo la pagina dedicata di Huffington Post)

 

Dietro Trump al momento c’è Scott Walker, governatore del Wisconsin e arci-nemico dei sindacati non ancora messo alla prova sulla scena nazionale. Poi Jeb Bush e, infine tutti gli altri. La forza di Bush e Trump sta nel loro portafogli, elemento determinante per chiunque voglia durare in una gara che potrebbe diventare una maratona: uno è straricco di suo e l’altro ha accumulato enormi contributi finanziari. Tutti gli altri, a meno che uno dei candidati non riesca a emergere e a coalizzare i conservatori, rischiano di non riuscire a essere competitivi in caso di guerra di trincea.
Giovedì prossimo su FoxNews il primo dibattito tra i candidati repubblicani sarà un primo filtro: qualcuno che in questo momento non emerge nei sondaggi riuscirà a farsi notare, altri verranno condannati all’oblio nel giro di poche settimane. Attenzione però, per dare un qualche ordine al dibattito, Fox ha deciso di limitare la partecipazione a dieci candidati basandosi sui consensi raccolti nei sondaggi. Qualcuno insomma rischia di rimanere fuori anche prima che si cominci a giocare la partita nazionale. Quanto a Trump, se venisse fatto fuori in malo modo potrebbe sempre decidere di correre da solo come terzo candidato. A quel punto, se i candidati dei due grandi partiti fossero Jeb Bush e Hillary Clinton, il 2016 sarebbe una riedizione del voto del 1992 quando il miliardario Ross Perot garantì la vittoria di Bill contro Bush senior, strappandogli una parte del voto di destra. Ma questa è fantapolitica estiva.

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