Recensione della bohème in scena alle Terme di Caracalla

La terza opera di Puccini proposta quest’estate a Caracalla, La bohème (le altre erano Madama Butterfly e Turandot), torna alle Terme nell’allestimento dello scorso anno, firmato David Livermore. La vicenda è idealmente collocata all’interno dell’atelier del pittore Marcello, uno dei quattro della combriccola bohémienne, e la narrazione è accompagnata dai maggiori capolavori dell’impressionismo francese di fine ‘800, proiettati su otto tele/pannelli disposti sul fondale. Il problema degli allestimenti che oggi ricorrono alla tecnologia per proiezioni, animazioni, etc. è riuscire a trovare un connubio che, al di là del singolo effetto, assicuri almeno la gradevolezza complessiva. Sotto questo aspetto l’allestimento di Livermore non è esemplare: i toni accesi e gli ingrandimenti insistiti – il tutto animato – fanno sì che quello che dovrebbe essere uno sfondo diventi spesso protagonista, mentre le figure degli interpreti perdono risalto.

Non vengono poi risparmiate alcune piccole brutture, come il pattern neutro usato nei momenti di transizione. Livermore riesce invece nell’intento (dichiarato) di creare una buona aderenza tra movimenti scenici e partitura. Le scene nella soffitta del quartiere latino rendono la squattrinata spensieratezza dei giovani artisti (grazie anche agli interpreti, tra i quali spicca lo Schaunard di Alessio Arduini) e curatissimi appaiono anche i movimenti della folla, tra bambini e saltimbanchi, nel boulevard parigino. Purtroppo lo spettacolo rischia più volte di sconfinare nel musical (quando Rodolfo e Mimì attraversano la folla in volata verso il pubblico, mano nella mano, i volti estasiati), o nel kolossal, complici i microfoni, un equilibrio non perfetto tra voci e orchestra e la direzione dilatata di Paolo Arrivabeni, fin troppo didascalica nel sottolineare i momenti di maggiore intensità.

Dopo un secondo atto dominato dal bianco, con l’effetto della neve sulla platea nel quadro della Barrière d’Enfer, si arriva ad un finale un po’ maldestro: Rodolfo tira giù Mimì dal divano e la abbraccia a terra, spalle al pubblico, in una posa non elegante (che sarebbe perdonabile) ma neanche espressiva. Nel cast spiccano Cristina Pasaroiu (Mimì nel secondo cast, nel primo è Serena Farnocchia) e Rosa Feola nei panni di una Musetta sanguigna e bizzosa, a tratti bisbetica, più ingenua e ruspante che sexy e maliarda come è a volte rappresentata. Matteo Lippi è un Rodolfo un po’ scolastico (nel primo cast è Abdellah Lasri). Completano il cast Julian Kim (Marcello), Carlo Cigni (Colline), Roberto Accurso (Benoît).