Sono sempre di più i genitori allarmati dall’ipotesi che il vaccino contro il morbillo sia causa di autismo. Nonostante una lunga sequela di studi abbia dimostrato l’infondatezza della teoria. E intanto, la malattia diventa epidemica.

Le vaccinazioni non provocano l’autismo. L’ennesima conferma è venuta da Anjali Jain e dai sui colleghi del Lewin Group, una società americana indipendente specializzata in ricerca medica pediatrica e consulenza sanitaria.
L’equipe della dottoressa Jain ha analizzato 95.727 bambini che, tra il 1997 e il 2012, sono stati vaccinati contro il morbillo, la parotite e la rosolia (Mpr). Il campione di bimbi comprende anche 1.929 soggetti (il 2,01% del totale) particolarmente a rischio, poiché fratelli e/o sorelle minori di un altro bambino autisti- co. I risultati della ricerca, pubblicati ad aprile sul Journal of American Medical Association, hanno dimostrato che non c’è alcuna relazione tra il vaccino MPR e lo spettro dei disordini autistici (Asd), che con un termine riduttivo viene generalmente chiamato autismo. Neppure tra i bambini a più alto rischio, puntualizzano Anjali Jain e i suoi colleghi.
Tutto era iniziato nel 1998, quando un medico inglese, Andrew Jeremy Wakefield, pubblicò su un’altra autorevole rivista medica, The Lancet, i risultati di una sua ricerca che invece mostravano una correlazione tra il vaccino Mpr, l’autismo e alcuni disturbi gastrointestinali. Per quattro anni i colleghi di Wakefield in tutto il mondo hanno cercato una conferma di questi risultati. Senza successo, com’è spiegato in un articolo pubblicato nel 2002 su British Medical Journal. Due anni dopo Brian Deer, giornalista del Sunday Times, avanzò l’ipotesi che Wakefield fosse non solo in palese conflitto d’interessi, ma avesse addirittura inventato di sana pianta i suoi dati. Nel 2007 il General Medical Council di Sua Maestà britannica avviò un’inchiesta che ha poi dimostrato la fondatezza di tutte le accuse nei confronti di Wakefield. L’uomo è stato così espulso dall’ordine dei medici del Regno Unito e i suoi lavori ritirati. Mentre una lunga serie di ricerche – ultima quella di Anjali Jain – ha dimostrato che i bambini cui viene somministrato il vaccino Mpr non corrono alcun rischio aggiuntivo di diventare autistici.
 Ma la mela avvelenata era stata gettata sul tavolo: la bugia di Wakefield ha raggiunto il grande pubblico e convinto moltissimi genitori, e la copertura delle vaccinazioni contro il morbillo, la pertosse e la rosolia sono diminuite in tutto il mondo occidentale. In Inghilterra come negli Stati Uniti. Come in Italia.
La faccenda è delicata. L’Oms (Organizzazione mondiale di sanità) ritiene che per evitare in futuro il rischio di epidemie di morbillo, parotite e rosolia occorra vaccinare almeno 95 neonati su 100. Obiettivo fatto proprio dal- le autorità sanitarie europee e italiane. In Italia siamo ancora lontani dal traguardo: nel 2013 è stato somministrata la prima dose del vaccino Mpr ad appena l’88,1% dei neonati e negli ultimi anni, secondo i dati del Ministero della Salute, la percentuale tende a diminuire. Dopo aver toccato un massimo del 90,6% nel 2010 la copertura è progressivamente scesa di 2,5 punti percentuali. Insomma, sono sempre più i genitori che non vaccinano i loro figli, non essendo la vaccinazione di fatto obbligatoria. E il motivo è la crescente diffidenza unito a un certo senso di sicurezza. Perché far correre rischi, per quanto piccoli, al mio bambino se queste malattie sono ormai rare e comunque facilmente curabili?
La mela avvelenata di Wakefield sta producendo i suoi effetti. Un dato sorprendente: la diffidenza verso i vaccini sta crescendo soprattutto nelle fasce più ricche e acculturate della popolazione. Non è un caso che la minore copertura Mpr, con appena il 68,9% dei neonati, nel 2013 sia stata registrata nella ricca e colta provincia di Bolzano. Questo atteggiamento non è a sua volta privo di effetti sanitari e sociali. Negli Stati Uniti sta facendo molto discutere un’epidemia di morbillo, la peggiore degli ultimi venti anni, che sta interessando la California. Nei primi quattro mesi del 2015 – dal primo gennaio al 24 aprile – i Centers for Diseases Control and Prevention (Cdc) degli Stati Uniti hanno registrato 166 casi di persone ammalate di morbillo nell’intera confederazione. Ebbene 117 di quei casi, il 70,5%, si sono verificati nel- lo stato californiano, a Disneyland e dintorni. Un’epidemia che ha avuto inizio col ritorno a casa di un cittadino americano da un viaggio in Estremo Oriente, probabilmente nelle Filippine o in Indonesia, dove il morbillo è ancora endemico. Questo cittadino non era vaccinato, e ha così avviato il contagio tra i non immunizzati.
Va notato che quasi tutte le recenti epidemie di morbillo negli Usa si siano sviluppate in stati come la California, Arizona e Illinois dove la copertura vaccinale non supera l’86% e scende in alcuni casi al 50%. Certo, i numeri americani sono piccoli e la malattia è facilmente curabile nei paesi occidentali. Ma il rischio di conseguenze gravi per qualcuno dei contagiati non è affatto da escludere.
Infatti, il Paramyxovirus, l’agente infettivo del morbillo, è particolarmente aggressivo: Stephen Cochi, responsabile della divisione immunizzazione globale dei Cdc, considera il morbillo la malattia più contagiosa conosciuta. Ed è anche una malattia letale: secondo l’Oms delle 250.000 persone contagiate nel 2013 in tutto il mondo, il Paramyxovirus ne ha uccise ben 145.700 (il 58%). La gran parte dei quali, bambini di età inferiore a 5 anni. Un numero che sarebbe sicuramente maggiore, se la maggior parte dei bambini che vengono alla luce ogni anno sul pianeta, non ricevesse almeno una dose di vaccino.
Per fortuna, la campagna di vaccinazione ha salvato in 14 anni 15,6 milioni di vite umane in tutto il mondo. Stando ai dati dell’Oms, la copertura dei neonati è passata dal 72% dell’an- no 2000 all’86% del 2013, mentre nello stesso arco di tempo le morti da morbillo sono sce- se del 75%. Una riduzione drastica che lascia ben sperare. L’Oms confida che, continuando la campagna sarà possibile eradicare del tutto la malattia entro il 2020.
A stemperare l’ottimismo dell’Oms ci pensa però la ricca e colta Europa. Tra ottobre 2013 e settembre 2014 secondo lo European Centre for Disease Prevention and Control, in Europa sono stati registrati ben 4.735 casi contro i 644 degli Stati Uniti: oltre sette volte di più. E chi è il Paese europeo col più alto numero assoluto di contagiati? Ma noi, l’Italia. Seppur al riparo dal rischio epidemia, con 2.060 casi (il 43,5%) primeggiamo in classifica, seguiti a distanza da Olanda (895 casi) e Germania (375 casi). La situazione europea rappresenta un’anomalia rispetto al resto del mondo. Nei paesi asiatici e africani in cui il virus è più diffuso sono i bambini al di sotto dei 5 anni, non vaccinati, a essere contagiati dal Paramyxovirus. In Italia e in Europa il virus contagia soprattutto persone giovani, tra i 20 e i 30 anni: ovvero quelli che, nati venti o trenta anni fa, non sono stati vacci- nati. Ora questi giovani non solo si ammalano e corrono dei rischi in proprio, ma diffondono la malattia, facendo correre rischi ad altri, e contribuendo così a sostenere una patologia che potrebbe essere totalmente sradicata.Il Paramyxovirus si trasmette solo da uomo a uomo, essendo sconosciuto tra gli animali non umani. Basterebbe vaccinare tutti per eliminarla.


La diffidenza verso i vaccini cresce soprattutto nelle fasce più ricche e acculturate della popolazione dove aumentano i casi di contagio da morbillo. Il primato è italiano

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L’Unione Europea si è data come obiettivo una copertura vaccinale del 100% della popolazione. Ma oggi solo 14 Paesi dell’Unione superano la soglia critica del 95%. In Italia siamo appena all’88%. Il morbillo non è che uno dei casi in cui la mancata prevenzione genera danni inaccettabili e tangibili. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità il falso allarme nei mesi scorsi relativo al vaccino antinfluenzale Flaud, ha determinato un calo delle vaccinazioni compreso tra il 25 e il 30% e così oggi registriamo un aumento delle morti per influenza di alcune centinaia di persone: un danno enorme e inaccettabile.
C’è, dunque, molto da lavorare per creare una solida cultura della prevenzione. Occorre una grande opera di sensibilizzazione di massa. È una sfida anche di comunicazione: come convincere che le vaccinazioni offrono grandi vantaggi per tutti e pochi rischi per ciascuno?

(da Left numero 17)

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