Anna Marson fa il punto su criminalità e rifiuti tossici nella zona delle Alpi Apuane denunciate dal libro "La terra bianca" di Giulio Milani. «Ho trovato ben delineate questioni e vicende che mi erano note e appreso altre cose ignote. - dice l'ex assessore-. Scrivere che il piano peggiora la situazione mi sembra tuttavia sinceramente surreale»

In Toscana sono attive 35 organizzazioni mafiose secondo dati della Fondazione Caponnetto e del Consiglio regionale toscano. Una buona parte di queste imprese malavitose sono nel business dei rifiuti tossici e operano nella zona delle Apuane. Ve ne avevamo già parlato qui, raccontandovi della lunga, documentata, inchiesta che ha svolto Giulio Milani e pubblicata da Laterza con il titolo La terra bianca. Sul tema ci è arrivata la lettera di Andrea Balestri, direttore dell’Associazione Industriali di Massa Carrara, nella quale ci scriveva: «Non ho letto il libro e non posso recensirlo. […] L’intervista rilasciata su left.it a Simona Maggiorelli, tuttavia, ha confermato l’impressione del libro che ne avevo ricavato in stazione, ovvero di un teorema improbabile, di una ciclopica forzatura per mettere insieme una accozzaglia di cose molto diverse tra loro, di un corredo di dati pieno, questo sì, di “fole”, di una astiosa tracimazione di acredine verso il territorio dove lavoro».
Per fare chiarezza abbiamo quindi chiesto di fare il punto sulla situazione ad Anna Marson, ex-assessore all’Urbanistica della Regione Toscana che è stata la vera “levatrice” del Piano paesaggistico regionale:

 

Ho letto il romanzo-inchiesta di Giulio Milani inizialmente per curiosità, come faccio sempre con i libri che parlano di Toscana, e poi, via via, con crescente attenzione e interesse. Non avevo mai riflettuto, occupandomi di Alpi Apuane con il Piano paesaggistico regionale, sulle relazioni tra lavoro in cava e lavoro nell’industria chimica, anche se la relazione tra nocività in fabbrica e problemi ambientali nel territorio m’era ben nota, se non altro per aver a lungo vissuto e lavorato a Venezia dove l’esperienza dell’assemblea autonoma di Porto Marghera e degli sversamenti di diossina in laguna erano fino a qualche anno fa ancora ben vivi.

I fili e le trame tessute dall’autore sono piuttosto ardite – la forma del romanzo lo consente – muovendosi nel tempo e nello spazio degli ultimi ottant’anni di storia apuana e italiana, cesellando sul tema ambiente e lavoro pagine che non lasciano appello. Nella ricerca delle connessioni, personali ed emotive da un lato, collettive e politiche dall’altro, tra partecipazione degli anarchici apuani alla Resistenza, lotte contro le industrie inquinanti in fabbrica e sul territorio, istanze ambientaliste e mancata regolazione dell’escavazione del marmo sulle Apuane ho trovato ben delineate questioni e vicende che mi erano note, e appreso altre cose ignote. Non riesco a dare una valutazione sull’attendibilità delle pagine relative alla presenza delle organizzazioni criminali nell’area di Massa e Carrara, ma posso dire che i racconti sull’inseguimento dei camion che nella notte trasportano rifiuti cambiando bolle di consegna e altro coincidono perfettamente con altre testimonianze relative ad esempio all’Acna di Cengio.
Ciò che forse mi ha più colpito, come cittadina che ha da poco concluso un’esperienza di governo regionale in prima persona, è l’accusa rivolta alle istituzioni di essere ancor oggi pienamente conniventi con gli interessi di pochi. Se le istituzioni toscane, ai diversi livelli territoriali, riflettono quest’immagine, condivisa purtroppo dai molti che alle recenti elezioni regionali hanno scelto di non andare a votare, e da diversi fra coloro che militano nelle associazioni ambientali e civiche, non si può che concludere che c’è molto da cambiare nelle istituzioni per renderle più trasparenti e affidabili per i cittadini di cui dovrebbero essere espressione.
Purtroppo non si notano particolari segnali in questa direzione, anzi. E interrogarsi pubblicamente su quale sia oggi il modello di sviluppo utile e praticabile per le diverse comunità territoriali rimane pratica assai rara, anche se proprio a cavallo tra Lunigiana e Garfagnana sembra prendere attualmente corpo, per iniziativa di alcuni sindaci poco legati agli interessi che il libro descrive così puntualmente.
Devo invece contraddire ciò che Giulio Milani sostiene, non nel libro ma nell’intervista a Left, in merito al Piano paesaggistico di cui sono stata non la “madrina”, ruolo onorifico in cui poco mi riconosco, ma più materialmente la levatrice nel corso d’un travaglio lungo e faticoso. Milani scrive che il piano approvato “non solo non ha cambiato la situazione, ma l’ha peggiorata”. Così avrebbe in effetti rischiato di essere, se l’accordo con il Mibact intervenuto al termine dei lavori in Commissione, e prima del voto in aula sul piano, non avesse consentito di superare una serie di emendamenti al piano già votati. La valutazione su quanto la versione del piano approvata riuscirà nella pratica a migliorare la tutela del paesaggio apuano è ciononostante almeno in parte aperta, poiché dipenderà anche da come le sue norme saranno applicate. Scrivere che il piano peggiora la situazione mi sembra tuttavia sinceramente surreale, non fosse altro alla luce dei ricorsi presentati dalle imprese di cava contro di esso. Chiedo quindi a Giulio Milani di informarsi meglio a questo proposito.

 

* Anna Marson è ex – Assessore all’Urbanistica per la Regione Toscana e Professore ordinario di Tecnica e pianificazione urbanistica presso la Facoltà di Pianificazione dell’Università IUAV di Venezia